L'ALIENO CHE SCRIVE di Roberto
Bertazzoni
Definizione di alieno:
che appartiene ad altro.
Altro cosa? Altro tutto,
forse.
Essere diversi:
all'inizio sembra bello, come un privilegio, non appartenere ai
comuni mortali. Sentirsi come se si provenisse da un altro pianeta.
Ma non lo abbiamo voluto,
non è “colpa nostra”, è un dono che ci troviamo fin dalla
nascita. Che si può fare? Nasconderlo? Accettarlo? Adoperarlo?
Ce ne accorgiamo poco per
volta, quando siamo ancora piccoli e qualche segno inizia a
comparire, inequivocabile.
Il bambino è
taciturno,solitario, chiuso, è diverso!
Eccola
quella parola terribile e bellissima, la sentiamo per la prima volta
e non capiamo. Diverso? Ma da cosa e da chi?
Ci
seguirà nel corso della nostra vita e scopriremo che può essere
grandiosa, straordinaria, oppure incompresa: dura, disprezzata e
condannata.
Una
parola tanto grande da non poterla comprendere.
Ci
sono momenti in cui capitano cose uniche, appena percettibili ai più;
attimi dove la sensibilità si fa così grande che si può udire il
lieve dondolare di una foglia, o entrare in un raggio di sole,
vedendo cose che altri non vedono e non vedranno mai.
Leggere
uno sguardo, sentire le vibrazioni più sottili intorno, tremare per
la paura, il disagio di un'anima che soffre; capire anche solo da una
parola, da una lacrima non versata.
Si
può gioire per il luccichio della luce abbagliante sul mare;
apprezzare l'inesorabile scorrere del tempo, meravigliarsi sempre per
una vita che nasce, qualsiasi essa sia.
La
gente inizia a farsi domande, a notare la differenza. E visto che
non capisce, condanna.
Forse
per un atavico istinto di compensazione per l'inadeguatezza di non
capire, ecco che vedono quasi sempre nel “diverso” qualcosa di
negativo, di sbagliato. Vedono il male, così è più facile.
“Ma
che tipo strano è, quello! Ma guarda come si veste! Come cammina!
Chissà perché non sta con gli altri? E chissà come vive! Cosa
nasconde! Ma perché non fa come tutti?”
E chissà! Chissà!
Chissà! Chissà cosa? Tutti chi?
Troppe domande, troppi
giudizi: pregiudizi.
Siamo già noi a soffrirne di tutta questa “diversità”: tra
etnie, tra abili e diversamente, tra belli e brutti, tra ricchi e
poveri, tra gay ed etero!
Per quel tacito e raro privilegio, racchiuso in un attimo fuggente
della vita che ci è dato “essere orgogliosamente diversi”,
paghiamo il giudizio degli altri, l'eterno disagio.
La gente non capisce e nemmeno vuole capire; ci vorrebbe tutti
uguali, riconoscibili, con lo stesso colore della pelle, vestiti allo
stesso modo e pronuncianti gli stessi discorsi e luoghi comuni.
Per
sentirsi “normali”? Forse. Diverso? È
scomodo e faticoso.
La diversità fa paura. Anche se può avere insita l'essenza del
senso della vita, la consapevolezza del sé, la comprensione e la
magnificenza della vera bellezza.
E allora si condanna: e giù ai migranti, giù ai carcerati, giù a
tutti gli “strani” che popolano il mondo. Ai diversi che non
appartengono allo standard dell'uomo medio. A quello facilmente
inquadrabile, comprensibile. Quello che, magari, va a messa la
domenica, ben vestito, con moglie e figli e, poi, qualche volta
capita che sfoghi la sua violenza in casa, sulla stessa famiglia.
Quello che in auto insegue il suo prossimo, perché lo ritiene
colpevole di una mancata precedenza: e allora lo insegue e lo
colpisce come una furia scatenata. Quello che aggredisce per un
pallone non riconosciuto allo stadio; che uccide per gelosia la
persona che dice di “amare”. Amare.
Beh, se questa è la normalità, lo standard, allora viva le
“stranezze”, e la “diversità” con tutto il cuore.
Con tutte le nostre paure: debolezze, e fragilità. Noi “diversi”
, perché migranti, diversamente abili, brutti, selvaggi, romantici;
con libere scelte sessuali, i capelli colorati. Artisti e inventori,
ogni giorno, della vita. Ci dichiariamo consapevolmente,
assolutamente e lucidamente orgogliosi di esserlo.
Almeno,
quella lacrima che spesso ci cade e ci scivola sul viso, almeno
quella sarà una piccola, trasparente e pura, cosa sincera.
Credetemi.
Evviva i diversi, nonostante tutto.
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