30 maggio 2020

Elias Canetti La lingua salvata a cura di Marcello Sgarbi



Elias Canetti

La lingua salvata – (Edizioni Adelphi)

Collana: Biblioteca Adelphi
Pagine: 365
EAN 9788845904172

L’infanzia è uno dei luoghi più frequentati della letteratura e insieme unico, tanto quanto sono diversi i modi di guardarlo degli autori classici e contemporanei. Senza grandi prospettive, se visto dagli occhi di due perdenti dickensiani come David Copperfield e Oliver Twist. Ridicolo e grottesco, quando si osserva dal basso in alto e con un occhio un po’ strabico sulla realtà, come succede ad Oskar Matzerath in Il tamburo di latta di Günter Grass. Surreale e imprevedibile se la realtà viene addirittura capovolta ad arte, come capita ai signori bambini di Daniel Pennac. Uno degli sguardi retrospettivi più indagatori è quello di Canetti.
Lucido e implacabile, mette a fuoco i ricordi e ce li consegna nitidi come fotografie. Immagini che scaturiscono vivide dalle pagine scritte e ci catturano, perché ci portano a guardare alla nostra stessa vita e alle figure famigliari, a rivivere il rapporto con i nostri genitori, il tempo della scuola e i momenti legati alle amicizie.

Il nonno mi guardava con un sorriso astuto e domandava a voce bassa: A chi vuoi più bene, al nonno Arditti o al nonno Canetti?’. La risposta la sapeva, tutti, grandi e piccini, erano innamorati del nonno Canetti, mentre lui non era simpatico a nessuno. Ma volendo costringermi a dire la verità, mi metteva nel più tremendo imbarazzo, ed evidentemente godeva moltissimo a vedermi lì sulle spine, dal momento che ogni sabato si ripeteva immancabilmente la stessa scena. Io da principio non dicevo niente, lo guardavo smarrito, ma lui ripeteva la domanda fino a quando io trovavo la forza di mentirgli e dicevo: ‘A tutti e due!’”.

Avevo diciannove anni quando a Vienna mi trovai davanti ai quadri di Bruegel. Riconobbi immediatamente le molte minuscole figure dell’incendio della mia infanzia. Quei quadri me li sentivo familiari come se li avessi avuti sempre davanti agli occhi. Provai per essi un’attrazione straordinaria e andavo a rivederli ogni giorno.
La parte della mia vita cominciata con quell’incendio proseguiva immediatamente in quei quadri, come se nel frattempo non fossero passati quindici anni.
Così Bruegel è diventato per me il pittore più importante di tutti, ma non l’ho acquisito, come tante altre cose più tardi, con la contemplazione o la riflessione. L’ho ritrovato dentro di me, come se mi avesse aspettato già da molto tempo, sicuro che un giorno sarei arrivato a lui”.

Poi Laurica cominciò ad andare a scuola e restava fuori tutta la mattina.
Sentii molto la sua mancanza. Giocavo da solo e l’aspettavo; quando arrivava a casa, l’andavo a prendere al cancello e la tempestavo di domande su cosa aveva fatto a scuola. Lei mi raccontava, io cercavo di immaginare e mi veniva una gran voglia di andare a scuola anch’io per stare insieme a lei. Qualche tempo dopo tornò a casa con un quaderno, stava imparando a leggere e scrivere. Lo aprì solennemente davanti ai miei occhi, il quaderno conteneva, in inchiostro blu, quelle lettere dell’alfabeto che erano per me la cosa più affascinante che avessi mai visto”.

(c) Marcello Sgarbi

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