21 ottobre 2019

NOETICA: USCITA LA SECONDA EDIZIONE! Un testo filosofico a cura di V. Capodiferro

NOETICA: USCITA LA SECONDA EDIZIONE!
Un testo filosofico a cura di V. Capodiferro

È uscita la seconda edizione del testo “Noetica. Ricerca sull’infinita mente”, presso l’editore Cristian Cavinato di Brescia. Il testo si proponeva fin dall’inizio (ed. Bibliotheka, Roma 2014) di rintracciare le orme del Nous fin dalle prime apparizioni presso i primi filosofi. In maniera trasversale si ripropone la classificazione delle facoltà, tenendo presente la profonda distinzione tra la coscienza empirica e la coscienza universale. La coscienza universale appare in vari modi, ad esempio: il Nous anassagoreo, l’ente noetico di Parmenide, fino a giungere al Cogito cartesiano ed husserliano, con tutte le dovute differenze, all’Io kantiano, e poi fichtiano, allo Spirito di Hegel, che si dissolve in vario modo, nel singolo kierkegaardiano, come nell’io collettivo marxiano, nell’io freudiano e nella volontà schopenhaueriana ed in altre ostentazioni: dall’esserci heideggeriano alle ultime frontiere dei post-chicchessia, perché no? La coscienza empirica è come un tralcio che si innesta in quella universale, pur essendone distinta, così si spiega il traducianesimo mentalista che risolve anche le attitudini innatistiche, o aprioristiche della ragion d’essere. I problemi irrisolti sono tanti, ma soprattutto due, in particolare: il primo è il rapporto tra Nous e Res, cioè tra soggetto e oggetto, io e non-io, un problema solito ma nello stesso tempo inconsueto, perché dobbiamo capire che in fondo nell’universo ci sono due termini inconciliabili tra di loro: uno è il Chi, cioè il soggetto pensante, l’altro è il Cosa, cioè il soggetto pensato, che poi diviene oggetto. Sappiamo benissimo che nell’antica accezione scolastica il subjectum indica sempre la sostanza, non tanto il soggetto pensante, mentre l’objectum – ciò che sta di fronte – indica l’oggetto mentale. Il rapporto tra chi e cosa è un rapporto tra due soggetti, o sostanzialità diverse. La prima può essere definita una sostanzialità processualistica o insostanzialistica - cioè non sostanziale nel senso della metafisica tradizionale -, come l’Idea romantichese, la seconda come una sostanzialità essenzialistica. La prima può essere sintetizzata come il “Panta rei” e la seconda come l’Essere di Parmenide. Res deriva infatti da ρέω: scorrere perennemente. Queste due sostanzialità “scorrenti” derivano in fin dei conti da un unico principio, che è l’Intelletto divino, oggetto di pura fede. Per chi non ha fede si può risalire comunque all’intelletto universale immanente all’universo. E qui subentra il secondo problema, che è più prettamente teologico: questo intelletto universale, che Bruno definiva come “mundano”, riprendendolo dalla tradizione stoica, in che rapporto sta con il supremo Intelletto divino che è completamente trascendente? Questo è un problema che tocca soprattutto il credente. Il non credente non ha difficolta ad ammettere un’intelligenza suprema dell’universo, o per lo meno una macchina perfettamente organizzata alla Cartesio (od anche il mostro alla Nietzsche: l’eterno ritorno), ma il credente come deve porsi dinanzi a questo Nous, che sarebbe il primo Intelletto creato? Il primo Intelletto è anche il legislatore della Natura di kantiana reminiscenza, cioè colui che dà ordine all’universo con le pure categorie, o forme formanti, diverse dalle forme formate, o materiali, o “cosali” o “reali”, nel senso che sono strettamente legate alla Res, con l’unica differenza che nessun intelletto può essere impersonale, altrimenti sarebbe una macchina, o un computer, e questo a sua volta presupporrebbe un ingegnere universale che l’avrebbe posto in essere. Quindi l’Io Penso di Kant, o di Cartesio, o di Fichte, o dello stesso Freud è una Persona, anche se universale. L’opera lascia aperte alla riflessione queste problematiche senza pretendere di dare delle risposte assolutistiche. Ringraziamo veramente di cuore l’editore Cristian Cavinato, per aver preso a cuore tutti questi nostri deboli sforzi intellettuali, per la sua sensibilità verso i giovani autori, anche sconosciuti e molto spesso incompetenti come noi, che si presentano in qualche modo al pubblico, anche se senza alcuna pretesa.

V. Capodiferro

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