28 agosto 2019

A BLESSING IN DISGUISE Mostra di Alessandro Putignano a cura di Marco Salvario

A BLESSING IN DISGUISE
Mostra di Alessandro Putignano
a cura di Marco Salvario

GAGLIARDI E DOMKE – Via Cervino 16, Torino
23/24/25 agosto 2019

Scelta coraggiosa quella dei curatori Curiale e Vio nel proporre le fotografie di un esordiente in una location ampia e gradevole ma decentrata, e di scegliere il mese di agosto, con molte persone ancora in ferie o con la testa in vacanza. Da quanto ho potuto giudicare, è stato un azzardo vincente e ho visto ammirare le opere da un pubblico numeroso, interessato e di tutte le età.
Lascio al lettore non troppo esperto in inglese, il piacere di migliorarsi trovando la giusta traduzione in italiano del tema della mostra, A blessing in disguise. Tema giustamente in inglese, perché Alessandro Putignano ci presenta le immagini catturate nel suo primo anno trascorso nel Regno Unito, frequentando i sobborghi irrequieti della capitale, conoscendo band emergenti e giovani di una cultura punk che sempre più si contamina con il pop. Su quanto riguarda l’ispirazione musicale, qui mi fermo data la mia incapacità di giudicare le tendenze musicali moderne.



La cultura punk è gioventù, colore, provocazione, musica senza melodia; è uscire dalle regole. Anarchia, ribellione più dichiarata e urlata che reale; un sogno di libertà, fragile e sfuggente, da cui in ogni attimo si teme di risvegliarsi. Di questo mondo l’artista ci regala una documentazione dall’interno, partecipe e genuina, che conquista l’attenzione dei visitatori.
Esplosioni di tinte in molte opere, colori che esplodono sul nero come fuochi pirotecnici, ma bravo è l’artista a cogliere anche nella raffinata sfida del bianco e nero, messaggi e tensione, giocando con contrasti violenti di luci, enfatizzando nei soggetti i momenti di slancio e quelli di stanchezza.
Privati del loro rivestimento spettacolare, i volti ritornano giovani, a volte infantili, persi nelle loro illusioni e nelle loro malinconie.



Le fotografie, la grande maggioranza, dove il colore è presente e inevitabilmente dominante, possono essere divise in due categorie: i ritratti dove il soggetto è unico, sempre femminile, e spesso sembra o è in posa per lo scatto; le foto di gruppo, dove la tensione interna è massima e il movimento diventa una composizione di gesti e di recitazione globale.



Nei ritratti colpisce la gioventù dei soggetti, la loro fragilità da bambole di porcellana.
Certo, i colori sono una sfida ai canoni, alle tradizioni, a volte al buon gusto; i volti soprattutto sono segnati, mascherati, sfregiati, resi irriconoscibili. Eppure il risultato non è quello di una maschera diabolica o le tinte minacciose di indiani che abbiano disseppellito l’ascia di guerra, quanto bambine ancora non cresciute che abbiano attinto maldestramente al trucco delle mamme. I sentimenti che i volti di queste ragazzine hanno prodotto in me, sono quelli di tenerezza e di una benevola indulgenza. Alcune di queste creature verrebbe voglia di abbracciarle e chiedere loro: “Noi, la generazione dei vostri padri o forse ormai dei vostri nonni, quanto abbiamo sbagliato con voi? Che terra vi stiamo lasciando?”
Penso ai problemi ambientali, ma ancora di più ai valori etici che non abbiamo saputo insegnare, perché noi per primi non abbiamo saputo metterli in pratica.



Nelle foto di gruppo, la situazione cambia.
Le ragazze sono scatenate, urlano, si abbandonano all’ebbrezza dei suoni, dell’alcol e di chissà cos’altro. I maschi sembrano più sornioni, meno coinvolti, nascosti dietro espressioni di simulato divertimento. Nel gruppo un seno nudo non fa scandalo, non desta neppure interesse. Quello che inquieta è che, a ben vedere, questi gruppi, gruppi non sono. C’è coralità di azione in certi momenti, soprattutto negli urli, ma ogni ragazzo non ha contatti con chi gli è accanto. Tante solitudini messe in parallelo, folle in una giungla di profonda incomunicabilità.
Fili invisibili calamitano l’attenzione dei giovani verso punti focali non sempre coerenti, ma nell’insieme sembra di ammirare una coda pittoresca e un po’ agitata, che cerchi di muoversi impaziente, come la fila interminabile a uno sportello postale.
Quello che sorprende, abituati al mondo simile ma evidentemente diverso delle movide italiche, è l’assenza dei telefonini, simbolo dell’incapacità dei nostri figli nel comunicare gli uni con gli altri, persino con coloro che ci sono più simili. Un punto a favore dei londinesi!

Ironie a parte, che nascondono l’invidia per un mondo giovane che mi è lontano di troppi anni, devo riconoscere la bravura di un fotografo che, nonostante la poca esperienza, ha saputo fermare con grande occhio e abilità, scene e momenti palpitanti e vivi, permettendo ai visitatori della mostra di gettare sguardi curiosi su una realtà di ragazzi alla ricerca di se stessi, ragazzi che saranno gli uomini e le donne di domani.

Nessun commento:

Posta un commento

I commenti sono moderati e controllati quotidianamente.
Tutte le opinioni sono benvenute. E' gradita la pacatezza.

51a Edizione Ravenna, 3-13 maggio 2024

                                                  51 a Edizione Ravenna, 3 -13 maggio 2024   Una panoramica geografica sul jazz, dagl...