21 gennaio 2019

SERGIO MELCHIORRE IN “OCCHI AUTUNNALI” a cura di Vincenzo Capodiferro


SERGIO MELCHIORRE IN “OCCHI AUTUNNALI”
Poeta della sensibilità e dell’”essere discontinuo”

Sergio Melchiorre è nato a Le Creusot, in Francia, il 3 marzo del 1956. Si è laureato in Lingue a Bologna ed oggi insegna a Luino, in Provincia di Varese. Scrive poesie, romanzi ed è sceneggiatore. Ha pubblicato, tra l’altro, “Uno di noi” nel 1993 ed ha ricevuto molteplici premi e riconoscimenti della sua attività letteraria. La sua ultima raccolta di versi è “Occhi autunnali”, Lecce 2018. Leggiamo due intense righe della prefatrice, Patrizia Grazioli, in cui si sintetizza brevemente la sua vita: «Sergio Melchiorre, figlio di un partigiano combattente sulla Majella e successivamente minatore in Francia (perché emigrato a seguito della guerra) e di una donna che ha sempre lottato contro la miseria per la vita dei figli, ha viaggiato a lungo non solo nel mondo, ma anche in quegli spazi misteriosi, talvolta labirintici, della sua anima, che ci possono condurre, se leggiamo attentamene le sue poesie, nel nostro mondo interiore. Nelle sue liriche si può trovare una parte, forse non ancora conosciuta, di noi stessi». Ecco una “Vita di un uomo”, ungarettianamente esposta! Il viaggio esteriore si intrinseca/interseca con quello interiore, ma quello interiore, rispondendo intrinsecamente al socratico monito (Nosce te ipsum!), al Redi agostinista, è più arduo e difficile, perché risponde alla domanda dell’umanità, ecco perché può riguardare tutti, ognuno di noi. Riguarda cioè l’uomo nella sua marxiana Gattungwesen. «Vorrei riflettermi/ nei tuoi occhi autunnali/ per afferrare quella malinconia/ che li rende così straordinari». Ecco il titolo, ecco tutto! Il titolo è l’opera! Il poeta si rivolge all’amata in un dialogo silenzioso che passa attraverso la visione. Come Dante guarda attraverso gli occhi di Beatrice e guada le porte dell’anima. Qui lo sguardo si rivolge alle stagioni dell’anima. Non c’è alcuna sacralizzazione della figura femminile, come l’angelica donna degli stil-novisti, o di Montale. Non c’è la Laura petrarchesca, che danza tra terra e cielo, tra inferno e paradiso. Gli occhi sono lo specchio dell’anima. Il linguaggio tra gli occhi è comprensibile immediatamente. Perciò si dice, quando ci si parla, di guardarsi vis-à-vis (alla francese. E Sergio può capire, perché è francese!). La centralità è rappresentata da quella malinconia, di cui scrive la Grazioli: «La malinconia che Giacomo Leopardi indicava come non solo esperienza umana dolorosa e disperata, ma anche come sorgente di ogni poesia. La malinconia come stato dell’essere umano insopprimibile, che se ascoltiamo senza timore diviene portatrice di conoscenza, di luce che fa risplendere e scintillare le cose e l’esperienza che si ha di esse». Piacer figlio di affanno … In Leopardi la malinconia porta dalla disperazione alla dispersione nell’orizzonte chiaroscuro del “vago ed indefinito”. In Melchiorre questa esperienza forte ci fa rivivere le sorgenti dell’arte: il dolore! L’artista, l’esteta, purtroppo non può guardare con occhio puro e contemplante, come credeva Schopenhauer! Cioè distaccato! Non possiamo staccarci da questo dolore! Dobbiamo portarlo, o diremmo sopportarlo: per crucem ad lucem, in termini cristiani! La Grazioli cita il Nietzsche, ma io vi citerei accanto Kierkegaard: vi è la disperazione inautentica e quella autentica, quella che ci apre gli occhi al mondo dell’infinito. Leggiamo in “Eravamo felici”: «Eravamo seduti/ sulle scale/ di una casa diroccata./ In mezzo al niente». Ecco: gli occhi autunnali guardano alle gioie della fanciullezza, il gaudio che segue dal nulla! È come una scena di guerra che ci ricorda l’Ungaretti: «Di queste case/ non è rimasto/ che qualche brandello di muro …». Siamo sempre di fronte ad uno scenario esistenziale che somiglia alla trincea. La vita stessa è un’eterna guerra mondiale. Gli occhi autunnali guardano a Chieti sotto un cielo plumbeo, come nella copertina del libro. Il paese natio di Sergio, le Creusot, è il “loculo aperto/ verso il tramonto” aggiungeremmo: dell’Occidente spengleriano (dall’Occaso pien di voli di carducciana memoria) rimanda alla terra natia d’Abruzzo, il paese dei pastori dannunziani: Settembre, andiamo. È tempo di migrare./ Ora in terra d'Abruzzi i miei pastori/ lascian gli stazzi e vanno verso il mare… E quel sigillo di guerra Sergio lo reca nel cuore, da figlio di partigiano, figlio di eroi. “Morte di una partigiana” rappresenta la trasfigurazione del padre: «Hai avuto solo un angolo di cielo/ che ha onorato il tuo sacrificio». Così «Se l’abisso, nei quali a tratti, prendendoci per mano, Sergio ci conduce con alcune sue poesie, è attraente quanto vertiginoso, la speranza di una continuità oltre la vita, oltre l’incomunicabilità amorosa, si apre improvvisa non come vana illusione, ma come certezza inalienabile». L’eternità non è più finzione illusiva foscoliana, ma verità che si concreta attraverso la morale eroica. Occhi autunnali sono uno sguardo nell’anima. l’autunno predice l’inverno, la spoglia stagione. Ma dove c’è spoglio, dove risiede il nulla, noi ritroviamo il vero senso delle cose e dell’esistenza stessa.

Vincenzo Capodiferro

1 commento:

  1. Leggerei centomila volte la tua storia e le stupende poesie ....affascinante siii!!!!!complimenti sinceri

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