30 ottobre 2018

Mal di rating per il Paese a cura di Antonio Laurenzano


               Mal di rating per il Paese 

                      a cura di Antonio Laurenzano

Nubi minacciose si addensano sul futuro della nostra economia. Anche Standard&Poor’s, in linea con le valutazioni di Moody’s, conferma la forte criticità del rating dell’Italia che resta poco al di sopra del temuto livello “junk” (“spazzatura”). Sotto esame da parte delle agenzie statunitensi la solidità e la solvibilità del debito pubblico. Una valutazione (rating) che apre scenari economici inquietanti sui mercati finanziari (spread) e sul sistema bancario (liquidità), perché legata a un outlook negativo, e cioè a stime di crescita al ribasso. “Il piano economico del governo, sostiene l’agenzia, rischia di indebolire la performance di crescita dell’Italia, rappresenta una inversione   rispetto   al consolidamento di bilancio,  un passo indietro sulla precedente riforma delle pensioni”. Manca un’agenda di riforme coerenti per allineare la crescita italiana a quella degli altri Paesi in modo sostenibile.
Un campanello d’allarme che mette a nudo la fragilità di una manovra di bilancio costruita in deficit su previsioni ottimistiche e condizionata da promesse elettorali non conciliabili con il precario quadro di finanza pubblica del Paese. Per l’agenzia di rating i numeri non tornano: la crescita viene rivista al ribasso all’1,1% rispetto all’1,6 % del documento del governo e il deficit al rialzo, non 2,4% ma 2,7% del Pil, suscettibile di ulteriore variazione negativa. La politica economica del governo peserà sulla crescita del Paese, minacciando la sostenibilità finanziaria di lungo termine dei conti pubblici con il trend del debito in aumento per i maggiori interessi e per la debolezza delle prospettive economiche. Una condizione che rende il sistema Italia più vulnerabile rispetto a schock esterni, dal caro petrolio alla guerra dei dazi.
Il rischio immediato è l’aumento dello spread già registrato in queste settimane, schizzato a quota 340, record da aprile 2013. Si erode la fiducia degli investitori con inevitabile fuga di capitali verso mercati esteri più sicuri. Una fuga certificata dal Bollettino economico della Banca d’Italia diffuso nei giorni scorsi  che parla di “vendite di titoli di portafoglio italiani” per 17,8 miliardi di euro negli ultimi mesi. E le vendite sui titoli di Stato trascina a ruota quelle sui titoli bancari con ricadute negative sull’accesso delle banche al finanziamento del mercato dei capitali (imprese e famiglie) e sul loro “coefficiente patrimoniale”. Per il sistema bancario italiano, che incorpora nei suoi asset titoli di Stato per circa 370 miliardi, un ulteriore innalzamento dello spread a quota 400 comporterebbe un pericoloso grado di rischio, rispecchiato dai rendimenti. Lo ha ricordato il Presidente della Bce Mario Draghi a … un distratto (?) vice premier.
Situazione di grande volatilità resa ancor più intricata dalle tensioni che si sono scatenate tra il Governo e la Commissione Ue a Bruxelles che ha respinto la bozza del Documento programmatico di bilancio per una “deviazione senza precedenti nella storia del Patto di stabilità e crescita” dagli obiettivi sul deficit strutturale che lo stesso governo a giugno si era impegnato a ridurre.
Una bocciatura clamorosa, perché non era mai successo che il Dpb venisse respinto senza trattative a conferma che, al di là dei decimali in contestazione, nelle pieghe della prossima legge di bilancio c’è molto assistenzialismo e nessuna traccia di un serio piano di investimenti pubblici, unico volano di una efficace e duratura crescita economica. La “manovra del popolo” ignora le riforme strutturali che incidono sul reale tasso di crescita dell’ economia: la burocrazia, la macchina della giustizia, la concorrenza, il fisco e la  lotta all’evasione, il mercato del lavoro.
Temo che ci sarà molto lavoro per il premier Conte che all’atto del suo insediamento a Palazzo Chigi assunse, da avvocato,  l’impegno di “difendere l’interesse dell’intero popolo italiano”.

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