29 settembre 2018

La Mala del Brenta-seconda parte. IL FIORE DELLA MAFIA NELLA LAGUNA a cura di Monica Splendori


La Mala del Brenta-seconda parte.
IL FIORE DELLA MAFIA NELLA LAGUNA

  “Faccia d’Angelo” cosi veniva chiamato Felice Maniero, capo della Mala del Brenta, rivolse il suo interesse anche ai Balcani, scossi dalla sanguinosa guerra civile. La scelta dei criminali Veneti cadde sulla Croazia, governata da Franjo Tudjman, questo suo contatto gli permise di implementare l’attività della sua organizzazione, i due iniziarono un prosperoso commercio d’armi. Lo snodo logistico principale di questa attività di contrabbando è il porto di Chioggia, in provincia di Venezia, relativamente piccolo ed al di fuori delle grandi rotte mercantili, ideale per fare affari in maniera indisturbata. Maniero diventa così di casa a Zagabria e dintorni, investe anche nel settore immobiliare in Istria e richiede la cittadinanza croata. Gli amici Croati si ricordarono di lui anche quando fù arrestato cercando di farlo evadere. Il loro romanzo criminale terminò solo quando Felice Maniero divenne collaboratore di giustizia. Altro importante elemento è l’arrivo di alcuni esponenti della mafia siciliana costretti al soggiorno obbligato nelle province di Venezia e Padova, in particolare Totuccio Contorno, Antonio Fidanzati, Antonino Duca e Rosario Lo Nardo sul finire degli anni settanta e l’inizio degli ottanta, fu la base per la nascita di un gruppo paramafioso che potesse fare da ponte tra il Nord e il Sud. All’ombra di questi personaggi crebbero e trovarono maturazione le locali giovani leve di una criminalità dai contorni ancora rurali, che tentava generalmente di mutuarne le gesta . Dopo il 1994 l’organizzazione è andata disciogliendosi anche grazie ai numerosi arresti e prelievi di beni dei suoi membri. Il primo tentativo di rinascita era costituito da un complotto volto a uccidere l’ex boss e pentito Felice Maniero. Per riuscire nell’impresa, i nuovi malavitosi prevedevano di usare un lanciarazzi e altre armi pesanti per colpire la caserma ospitante l’ex boss. Al momento dell’arresto le autorità identificarono come orditori della cospirazione trentatré persone, tra cui noti rapinatori e delinquenti di piccola taglia. In particolare agivano Andrea Batacchi, Mariano Magro, Lucio Calabresi, Nazzareno Pevarello e Stefano Galletto, ed è stato proprio il pentimento di quest’ultimo a consentire alla task force della Direzione anticrimine centrale di sgominare la banda. L’operazione venne condotta dal Pubblico Ministero di Padova, Renza Cescon, e impiegò circa 400 uomini della polizia di Stato. Caratteristiche generali: sviluppatasi negli stessi anni e negli stessi contesti criminali da cui nacquero a Roma la banda della Magliana e a Milano la banda della Comasina, si distinse dalle altre mafie italiane per il carattere rurale mantenuto nel corso degli anni. La mafia piovese si rese protagonista di rapine, sequestri di persona, omicidi e traffici di droga e armi a livello europeo nel giro di pochi anni dalla nascita. Considerata da taluni una vera e propria mafia, e per questo anche soprannominata la quinta Mafia, viene così descritta dalla Prima sezione della Corte d’Assise d’Appello di Venezia da una sentenza emessa il 14 dicembre 1996. All’organizzazione della riviera del Brenta si aggiungevano: I mestrini, il gruppo criminoso di Mestre – strettamente collegato a quello della Riviera. I veneziani, il gruppo della laguna, composto da elementi tutti nativi del capoluogo . La banda Maritan Gruppo di San Donà di Piave-Jesolo, nel Veneto Orientale, il cui capo era Silvano Maritan. “Ecco, forse questa è una possibile spiegazione, del perché ingiustamente, quel ragazzo dolce oggi non può ascoltare questa storia!”

(c) Monica Splendori

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