11 settembre 2018

FABRIZIO SERRA, PREFETTO DI MISURATA Un esempio illuminato dell’Italia Coloniale a cura di Vincenzo Capodiferro


FABRIZIO SERRA, PREFETTO DI MISURATA
Un esempio illuminato dell’Italia Coloniale

Fabrizio Serra, prefetto di Misurata, muore al tramonto del 1938. Di origini varesine ha profuso l’intera sua esistenza al servizio di colei che allora di chiamava “Patria”, un nome oggi bandito dal linguaggio comune, forse perché ci ricorda il padre. Oggi viviamo, oltre che la “società liquida”, la “società senza padre”, che bello! Eppure patria è nome femminile nella forma ma maschile nella materia, perché ci ricorda il Padre. Patria è padre e madre! Patria è la “terra dei padri nostri”. Quanta gente è morta per la patria: eroi, ma anche tanti uomini comuni! Si sentiva spesso la parola “patriota”. Fabrizio aveva fatto gli studi umanistici e di là si arruola nell’esercito, era colonnello di fanteria, “severamente preparato alla cultura” come riporta una memoria de’ “L’Italia Coloniale”, n. 11, del novembre del 1938, fatidico anno delle “Leggi razziali”: «Uomo di cultura e di studi, eccellente scrittore di cose militari e politiche, e in particolar modo, coloniali. Fu altresì esemplare tipicamente italiano per la fusione delle doti di pensiero e di azione. Dal 1913 al 1920, nel periodo cioè in cui più grave e più drammatico appariva il nostro destino coloniale, Serra fu trai pochi che prodigando in Libia ardimento e abilità conservarono all’Italia le basi che dovevano servire per l’inizio di una riconquista e di una rinascita libica». Oh se Fabrizio potesse vedere la “sua” Libia oggi: si metterebbe mano nei capelli! «Nel 1920 fu chiamato a far parte della commissione di valorizzazione della Cirenaica, di quella Cirenaica che egli così bene conosceva per avervi vissuto come amministratore, per averla difesa come combattente valoroso. La sua prima presa di contatto con la colonia era stata infatti guerriera: il 10 maggio 1913 aveva preso parte al combattimento di Sidi Garbà». Fabrizio aveva partecipato alla fatidica Guerra di Libia, indetta da Giolitti ed aveva vissuto così il trapasso dal giolittismo al fascismo. Il colonialismo italiano era iniziato prima, con Crispi e con Giolitti, però Giolitti non fu condannato, mentre Mussolini subito fu condannato per l’impresa d’Etiopia, ma da chi? Eppure entrambi erano ammanicati colla Francia e l’Inghilterra, tranne il secondo che dopo l’Etiopia si getta tra le braccia dell’amico nibelungo. Ma fu condannato proprio dall’Inghilterra, il massimo esponente dell’imperialismo e del colonialismo mondiale di tutti i tempi! Mi dite voi che differenza c’è tra giolittismo e fascismo? Il primo fu una dittatura parlamentare, il secondo una dittatura reale. Cioè il primo prepara la via al secondo, con tutte le remore del vecchio statista piemontese! L’impresa di Sidi Galbà vale a Fabrizio Serra una medaglia bronzea al valor militare. Nel 1921 è chiamato alle funzioni di capo dell’Ufficio politico del regio Corpo di spedizione del Mediterraneo - quel Mediterraneo che oggi è diventato la tomba dei migranti! Nel 1922 compie con successo una difficile missione in Anatolia, tanto che potremmo definirlo il nostro italiano “volpe del deserto”, come Rommel. Torna in Italia ove segue i corsi dell’allora definita “Scuola della Guerra” con brillanti risultati. «Nel 1929, Serra tornò in Italia ed ebbe da assolvere delicati incarichi come ufficiale di Stato Maggiore, prima presso il comando della divisione di Roma, poi come addetto all’Ufficio Operazioni del Comando del Corpo. Nel 1934 passò all’Ufficio coloniale del Ministero della Guerra come capo sezione, e finalmente, all’inizio del 1935, mentre si delinea prossima la grande impresa africana, fu nominato capo dell’Ufficio stesso». E siamo alla grande impresa d’Etiopia. Il colonialismo italiano, a differenza di quello franco-inglese, non era teso solo allo sfruttamento delle regioni conquistate, ma alla loro valorizzazione. L’Italia da tutte le imprese coloniali non ci ha guadagnato niente! Ci ha solo rimesso! Forse ci siamo scordati dello “scatolone di sabbia”? Ed ancora oggi paghiamo le accise sui carburanti della guerra d’Etiopia! «Era il 1936. Il maggiore Serra ebbe le funzioni di Capo di Gabinetto del generale Teruzzi, allora Governatore della Cirenaica». In questo contesto dobbiamo segnalare la grande perizia del Nostro: «Aveva acquistato una profonda conoscenza del problema, ne diede poi conto in un volume che a tutt’oggi costituisce il classico testo sul complesso problema di politica religiosa e indigena». Cioè in pratica il Serra aveva compreso pienamente la questione libica, che oggi nessuno riesce a risolvere. Poi inizia un’altra fase eroica: la partecipazione alla “guerra imperiale”. Mussolini aveva lanciato il programma coloniale: allungheremo lo stivale fino all’Africa Orientale! Il Nostro entra nella Divisione Camice Nere “I Febbraio”: «Qui si inizia storia di ieri, ben viva nel ricordo di ciascuno. A tutti è noto e presente alla memoria l’epico comportamento della Divisione, battutasi eroicamente a stornare il tentativo di aggiramento compiuto dalle forze di ras Immerù, e a tutti è nota parimenti l’importanza strategica della battaglia dello Scirè. La marcia compiuta dalla “I Febbraio” attraverso l’Adì Abò, contro le colonne del ras fu compiuta in terreno inesplorato, orrido, impervio, dominato da ciglioni altissimi, traversato da costoni impraticabili. Fabrizio Serra, capo di Stato Maggiore, non cedette alla prova. Colpito da forti febbri, non volle abbandonare la Divisione». E qui si ammalava! E quella malattia lo accompagnava fino alla morte. «Ritornato in Italia, dopo aver preso per un breve periodo la direzione dell’Ufficio Colonie al Ministero della Guerra, fu promosso colonnello ed assunse il comando del 67 fanteria. E finalmente nel febbraio del 1938, nominato Prefetto di Misurata, ritornò ancora una volta, per l’ultima volta, alla sua Libia, a quella Libia che le era rimasta profondamente cara nel cuore per il ricordo delle lotte compiute all’inizio della sua carriera di soldato e di politico africano». Riportiamo alcuni stralci delle ultime lettere del Nostro, riprese dalla testimonianza, che abbiamo seguito, del periodico “L’Italia Coloniale”, che aveva dedicato un’intera pagina a sua memoria: in una lettera del 10 febbraio: «Mi dicono che Derna è diventata molto bella e che Bengasi fra poco riprenderà sviluppo con rinnovato vigore. Ma ora devo occuparmi di Misurata. Misurata deve diventare la grande provincia agricola della Libia, deve conquistarsi il titolo di “Provincia Verde”». Forse Fabrizio aveva in mente le nostre “province lumbard”, donde proveniva. Stiamo scherzando! Eppure oggi si parla tanto di ecologismo: guardate quanti progetti lungimiranti aveva il Nostro! Lettera del 31 marzo: «Ho adottato come principio informatore della mia attività quello di ragionare coi piedi. Non spaventarti: vuol dire “andare a piedi e ficcare il naso dove l’auto non potrà”. È una cosa molto importuna per chi poi deve subirne le conseguenze. Ma è utilissima». Se adottassero anche i nostri politici questo principio informatore! Ma costoro ragionano coi piedi non nel senso di Fabrizio, ma in quello più deleterio dell’espressione. Ed infine l’ultima lettera, del 6 maggio 1938, poco prima di morire: «Devo scriverti colle mani di mia moglie perché sono purtroppo ancora a letto, costretto ad un’immobilità che per i medici non è mai sufficiente, ma per me è esasperante». Purtroppo la flebite dell’Adì Abò lo conduce alla morte: «Il male era quello di “allora”, ma giunse a piegarlo, quasi a vendicare l’antica sconfitta subita allora dalla ferrea volontà dell’Uomo. E lo abbatté, di schianto, nel corso della sua fatica». Quanto umanesimo si può leggere in queste descrizioni! D'altronde l’Italia è la patria dell’Umanesimo, quell’Umanesimo che in parte si ritrova anche - perché no? - nella retorica fascista, nel neoclassicismo artistico. Abbiamo voluto valorizzare questa personalità, forse poco nota, ma che si è spesa per la patria, in altri tempi … D’altronde i regimi - compresi quelli democratici attuali - possono aver commesso anche errori madornali, ma sono fatti di uomini, e tra questi uomini vi sono state sempre persone capaci, oneste e giuste.
Vincenzo Capodiferro

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