18 febbraio 2015

“VI RACCONTO. RICORDI DI UNA VITA” Un’intensa e raccolta autobiografia di Eugenio Vigolodi Luino

“VI RACCONTO. RICORDI DI UNA VITA”
Un’intensa e raccolta autobiografia di Eugenio Vigolodi Luino


“Vi racconto. Ricordi di una vita”, di Eugenio Vigolo, è un’intensa e raccolta autobiografica, edita dalla Bine, a Milano, nel 2014. Eugenio Vigolo nasce a Montegalda, in provincia di Vicenza, nel 1922 ed oggi risiede a Luino. Così scrive di lui Don Massimiliano Terraneo: «Leggendo i racconti di Eugenio, bambino, sposo, padre, nonno, amico, si prova la freschezza delle sorsate di acqua limpida dellefontid’alta quota… La sua umiltà come la condizione di vita più preziosa… la bellezza sempliceevera di un uomo sorridente che, nei suoi novant’anni, è anzitutto in pace con se stesso, con tutti e con Dio». Veramente in queste poche righe si condensa il senso profondo, il significato, oltre che il significante di questa opera densa, ma nello stesso tempo ricca di vita, realistica. E se dobbiamo, invece, descrivere lo stile, in altri termini il significante, ci affidiamo certamente alle parole del Professore Roberto Radice, Ordinario di Filosofia alla Cattolica, che così lo riassume nella Prefazione: «Nello scritto di Eugenio Vigolo ci sono pochissimi aggettivi. Mentre i nomi per lo più esprimono i fatti e le cose, gli aggettivi descrivono le nostre reazioni ai fatti e i nostri giudizi su di essi: sicché gli uni sono oggettivi, gli altri soggettivi. Tutto ciò per dire che nella sua storia c’è poco di soggettivo: è un racconto nudo e crudo, dove non si sente il bisogno di esibire commenti o sentimenti, se non rare volte, quando il dolore e la gioia diventano essi stessi protagonisti». Per queste ragioni il “racconto” di Eugenio si inserisce perfettamente in quello stile che oggi viene definito “nuovo realismo”. La storia stessa si fa racconto, memoria e c’è l’intreccio tra la propria vita e la Vita dell’Italia. Riportiamo anche una nota della Dottoressa Carla Soltoggio Moretta dell’Unitre di Tirano: «Come è nel suo temperamento, pungolato dalle vicende della vita, non si abbandona ai ricordi, ma li rivive per donarli, con coraggio e amore. Anche quando ricorda uno sbaglio euna burla divenuta pesante non si nasconde, pensa e narra con sincerità, scrive con la semplicità del cuore. Leggendo, senza accorgersene, ci si sente partecipi, indotti a riflettere, a confrontarci con le nostre esperienze, ad aver fiducia in sé stessi. Se ne esce rassicurati. E anche ammirati». Eugenio ci racconta la storia della sua famiglia, le cui mitiche radici si perdono nel Trentino: «I miei avi devono esseredi origine trentina, di aver posseduto un castello, espropriato poi dagli austriaci durante la loro occupazione». Il Trentino è lo sperone d’Italia, frammento della memoria del grande Impero Austro-Ungarico di Maria Teresa e di Giuseppe, prima della capitolazione finale del 1919.  In effetti esiste il Castel di Vigolo a Vigolo Vattaro in provincia di Trento. La prima parte della vita diEugenio si svolge comunque tutta nel Veneto, l’antica Serenissima. Quest’uomo ci racconta la sua vita contadina, i suoi trasferimenti: nel 1929 a Scodosia (Padova), nel 1931 per Arcugnano (Vicenza). Molto bella a proposito la nota storica della dote della madre, Maria Luigia Maran, nata a Sandrigo nel 1880, stilata dal nonno nel 1902. Alla fine c’è scritto in tono veneto: La noviza con quello che trova. A 17 anni diviene egli stesso il fattore, come ci racconta: «Da quel giorno dovevo essere io a dirigere l’azienda: vendere, comprare, versare l’affitto, pagare gli operai e tutto quello che necessitava». A 19 anni viene chiamato alle armi. Aveva fatto il corso per telegrafista e marconista, e nel 1942 inizia, per lui, come per tanti giovani del tempo, quella lunga e difficile esperienza della guerra, che ci racconta con tono sentito e sofferto. Non dimentichiamo che proprio in quegli anni difficili le grandi valli, come tutte le convalli della chioma d’Italia, si spopolano: tutti gli alpini partono per la stupida Campagna di Russia. E poi vengono di nuovo arruolati nella lotta fratricida tra le due Italie: quella di Salò e quella di Brindisi. Conosce la sua amata Elsa, inizia per lui l’esperienza della vita matrimoniale, vissuta fino alla fine con fedeltà e purezza. Nel 1952 la famiglia Vigolo lascia il Vicentino e si sposta nel Novarese a lavorare nelle risaie e dopo una breve parentesi finalmente, nel 1955 a Luino. Nel 1961 Eugenio è costretto, suo malgrado a lasciare definitivamente l’azienda, perché non basta a sfamare due famiglie. La vita a Luino cambia: nuovo lavoro, nuove soddisfazioni. Nel 1949 nasce il primo figlio Giampaolo, «Poi nel 1952 arrivò il compagno di giochi, il fratellino Giorgio, un bambino anche esso bello e vivace». I figli che hanno allietato la vita di quella aulica coppia sono Giampaolo, Giorgio e Mirella. Il 12 agosto del 2009 muore Elsa. Eugenio racconta con tono drammatico: «La mia cara Elsa non c’è più». «È rimasto un tremendo vuoto». Ed infine per lei annota: «Come è breve tutto ciò che è bello»! E la vita subito ricomincia con quell’Oggi: gli interessi della Terza Età. Eugenio si occupa di giardinaggio, frequenta l’Unitre. Eugenio ci racconta la sua vita, l’infanzia e l’adolescenza vissuta nella civiltà agricola del Nord, tra il Veneto, la “Terronia” del Nord, la “Padania” e la Lombardia, la “Langobardia Maior”, la terra dei Longobardi. La sua vita è stata difficile come lo era quella dei contadini, ma semplice e pura. Leggendo Eugenio ci si immerge stupiti in quella civiltà agraria, che accomunava Nord e Sud, Est e Ovest, Africa e Asia. Certe note assomigliano a quelle di Levi e il suo “Cristo di è fermato ad Eboli”, a noi così caro. È una civiltà universale che sta sparendo. La civiltà contadina e pastorale oggi è svanita: soprattutto in quel Nord. Eppure inoltrandosi negli antichi sentieri alpini e prealpini, addentrandosi ai margini di quell’altre civiltà, quella industriale e post-industriale, moderna e postmoderna, non è raro trovare in pieno Nord, quel Sud del Nord, sulle montagne, sulle altezze sconfinate, sugli altipiani abitati da druidici pastori. Non è l’agricoltura intensiva che si fa in pianura, in Padania: è un’altra cosa! Si torna agli albori del mondo: è un’altra vita, quella vera! Così si può capire la parola di Eugenio: «Cari miei, voi che mi state leggendo, per chi è nato e cresciuto in campagna… non è facile accettare il cambiamento».Ed oggi chi è che nasce e cresce in campagna? Nessuno! Perciò si sono perse tutte le tradizioni, tutte le lingue: la civiltà contadina, scomoda e fiera è diventata oggetto da museo. Avete voglia voi a far studiare il dialetto! Non serve più a niente, perché è diventata una lingua morta, bandita dai marasmi della globalizzazione omicida di culture. Quella di Eugenio è una testimonianza vivente: dal Fascismo alla Guerra, dalla Guerra al Dopoguerra. Eugenio ha visto tutto: chi più di lui può capire il senso della vita, delle trasformazioni storiche, sociali che ci hanno portato alla nostra sedicente civiltà tecnologica e digitale, ove non vi è più spazio per quella spensierata e viva“vita di campagna”, che caratterizzava tutti i tempi della nostra Italia? Mussolini stesso si identificava con quella civiltà con le sue bonifiche, la campagna del grano, che faceva piantare il grano lungo i filari delle ferrovie, che si intrecciavano coi filari di carducciani cipressi. E come si poteva superare la Grande Crisi del 1929? E come si può superare la Grande Crisi oggi? La storia di Eugenio è Storia vivente, è una testimonianza sicura, che riposa sulla fede: una fervente fede religiosa che accompagna sempre la vita di Eugenio. Questa fede è anche fede nei fatti: «verum et factum convertuntur», asseriva Vico. Eugenio ci racconta non una storia astratta, ma quella vera e senza tanti fronzoli, senza scuse. Il suo realismo, il suo puro esistenzialismo è colorato di affetti, di umanità, di coraggio. Ogni vita è unica ed irripetibile, c’è, ma siamo noi ad interpretarla. I fatti, come scriveva Nietzsche, sono stupidi senza l’interprete. È questa notevole interpretazione che rende quei fatti vivi, vicini a noi e ce li fa palpare e conoscere davvero.Potremmo concludere con i versi di Giuseppe Ungaretti, tratti proprio da “Vita di un uomo”: «So di passato e di avvenire quanto un uomo può saperne./ Conosco ormai il mio destino, e la mia origine./ Non mi rimane più nulla da profanare, nulla da sognare./ Ho goduto di tutto, e sofferto». Rappresentano forse la sintesi di tutto il cammino che quest’uomo, Eugenio Vigolo, ha voluto offrirci in questa densa e sentita memoria.

1 commento:

  1. Ho avuto l’occasione di leggere il testo di E. Vigolo, -Vi Racconto- da lui personalmente donatomi, durante un incontro all’Università popolare di Luino dove ho tenuto una lezione sulla storia risorgimentale e sul personaggio di Cristina di Belgioioso, la gran lombarda.
    Mi ha fatto un bel regalo: ha ricondotto gli eventi ed avvenimenti “storici” al quotidiano: il Fascismo,la Guerra, la catastrofe civile, e …dalla Guerra al Dopoguerra… E ha pure focalizzato la storia economico- sociale da lui vissuta in prima persona: la mezzadria, la risicoltura, l’allevamento del baco da seta… Ha, come diceva il Manzoni, “inverato il certo e accertato il vero”. Ha davvero vissuto tutto, comprese le traversie della vita familiare, che Vigolo mette sempre in primo piano e al centro della sua attenzione affettiva.
    Davvero un signore di grande vigile memoria: che i suoi novant’anni gli siano leggeri.
    M. Grazia Ferraris

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