04 novembre 2013

Finanza pubblica fra tasse e tagli della spesa

              


                 FINANZA  PUBBLICA  FRA  TASSE  E  TAGLI  DELLA  SPESA
              I nodi e le incertezze della legge di stabilità – La “spending review” 
                                                 di Antonio  Laurenzano

Pioggia di critiche sulla legge di stabilità. La sua approvazione in Parlamento,  al di là delle fibrillazioni politiche sulla tenuta della maggioranza, è fortemente legata a un profondo … remake. Una manovra da 11,5 miliardi  per il 2014  “disegnata” con scarso  coraggio e poca fantasia. 
Ancora una volta, per equilibrare i conti pubblici, è stata scelta la strada di sempre, quella di un aumento delle tasse, a dispetto  delle raccomandazioni della BCE che, nella famosa lettera del 2011 (dirompente per le sorti politiche del Governo Berlusconi), aveva sollecitato “riforme strutturali per assicurare la sostenibilità delle finanze pubbliche e non politiche di austerità”. 
E’ stato dunque accantonato ogni incisivo intervento sulla spesa  con il rischio di un nuovo prelievo fiscale che il Paese (imprese e famiglie), alle prese con una persistente crisi economica, non è in grado di reggere. Dal 2015 si potrebbe  infatti registrare un aumento delle imposte (aliquote e accise) e un taglio alle agevolazioni fiscali (minori detrazioni per i contribuenti) per garantire 10 miliardi in tre anni, a meno che la “spending review” non riesca a centrare lo stesso obiettivo.  Una “clausola di garanzia” per i dissestati conti pubblici che potrebbe non scattare se avrà successo la “mission” di Carlo Cottorelli, rientrato a Roma da Washington, Fondo monetario,  per tagliare una spesa pubblica che non si è riusciti a ridurre in trent’anni!...  
Da sempre, la legge di stabilità (ex legge finanziaria) è la ricerca di un complicato e delicato equilibrio fra tagli e tasse: il suo saldo ha finora privilegiato le tasse, sia per miopia (o incapacità) politica, sia per timore di toccare interessi di bottega. Il bilancio dello Stato, da questo punto, è lo specchio fedele dei vizi e delle italiche virtù della nostra democrazia parlamentare, alimentata dai compromessi tra partiti a caccia di consensi elettorali.  
La spesa pubblica italiana rappresenta un unicum a livello mondiale: su un totale di  807 miliardi oltre 330 sono destinati a oneri sul debito e pensioni. Secondo alcune stime di Piero Giarda, docente della Cattolica e studioso di “dinamica, struttura e governo della spesa pubblica”,  sono “aggredibili” in tempi brevi almeno 100 miliardi e nel medio periodo circa 300 miliardi. La sanità è il principale imputato con una spesa annua di oltre 106 miliardi.  Ma di “costi standard”, che dovevano essere la carta vincente del federalismo fiscale per rimuovere rendite e sprechi in tante regioni d’Italia, nella legge di stabilità firmata da Letta e Saccomanni non c’è traccia!
Al di là delle pur lodevoli dichiarazioni d’intento esportate dal premier a Bruxelles prima e alla Casa Bianca dopo, di fatto nella sua prima manovra sui conti pubblici manca una vera “spending review”, mancano cioè quei tagli che bloccano lo sviluppo. Manca, in definitiva, una riqualificazione e riduzione della spesa che, con una necessaria semplificazione normativa, sono riforme di cui l’Italia non può fare a meno. E’ a rischio la competitività del sistema Paese e la sopravvivenza del suo tessuto socio-economico. 
Non è proponibile una legge di stabilità che si affida alla pressione tributaria  per recuperare una manciata di euro per il cuneo fiscale, rinviando gli interventi strutturali sulla spesa alle misure… miracolistiche di Cottorelli, deus ex machina, senza peraltro azzerare la  prassi dei tagli lineari. Per fare questo servono scelte condivise. Ma quando un governo discute e litiga per mesi su come cambiare… il nome di un’imposta, l’IMU, significa che la politica nel nostro Paese ha perduto la percezione della gravità della situazione e con essa la sua stessa credibilità.   


   

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