03 giugno 2013

L'Iliade nella reinterpretazione di Prospero Bentivenga


Un’esperienza teatrale significativa e maestosa

Rivedere l’Iliade a teatro, in un’interpretazione così magistrale ed attenta non è impresa facile. Saper condensare le innumerevoli gesta della tradizione omerica in una rappresentazione che ti prende è un’opera d’arte che nulla ha da invidiare allo stesso originale. Sappiamo bene che a volte l’interpretazione è più importante dell’opera. E ciò lo si intende bene per le opere musicali. Quanto vale una bella interpretazione! L’Iliade di Prospero Bentivenga esce in scena nel 2009, una riscrittura teatrale fatta dal regista lucano, insieme a Carmen Luongo, Daniele Ventre, con la consulenza drammaturgica di Renata Molinari. Prospero è nato in un piccolo paese dell’entroterra lucano, Castelsaraceno. Il padre, Biagio, era un artigiano attento e laborioso. È morto molto giovane. La madre, Emanuela, casalinga, è una persona suggestiva ed amabile, così ilare ed espressiva. Credo che Prospero abbia preso da lei la propensione al teatro. Fin da giovane Prospero frequenta Napoli, la patria del teatro per eccellenza. E qui comincia a dedicarsi all’attività cinematografica, iniziando la sua carriera non indifferente, ma impegnata e decorosa. Esordisce con Cucina Bollente nel 1990: l’opera è premiata come miglior film cortometraggio al Carpineto Film Festival di Roma da una giuria presieduta fa Fulvio Lucidano. Scrive e dirige Non si fa credito nel 1992, poi Prima nel 1993. I cortometraggi sono segnalati al Festival Internazionale Cinema Giovani di Torino, nonché a quelli di Alpe Adria e del Cinema Italiano a Roma, ed a numerose rassegne, trasmesse da Rai 3 – Fuori Orario. Con il documentario L’Antenna di Castelsaraceno, sempre nel 1992, partecipa a Parigi al XI Bilan du Film Ethnographique presieduto da Jean Rouch, messo in onda da Rai 1 e Rai 3. Si tratta di un lavoro importante che riprende e commenta l’antichissimo rito arboreo dell’innalzamento dell’albero in occasione della festa di Sant’Antonio. È un rito molto diffuso in Lucania. È autore e regista di vari film documentari: I giostrai (1992), Fermo in stazione (1994) prodotti e trasmessi da Rai 3 e Maggio a Napoli (1998), prodotto e trasmesso da Rai 1. È regista per Rai Sat de Il baciamano (1999), spettacolo teatrale di Manlio Santanelli con Carmen Luongo, in scena al Palazzo Reale di Napoli per il Bicentenario della Repubblica Partenopea. Nel 2007 dirige il film World Napoli presentato al Festival del Cinema di Venezia ed al Festival dei Diritti Umani di Buenos Aires. Nel 2009 al Napoli Teatro Festival-Fringe ha portato in scena  Le pareti della solitudine di Tahar Ben Jelloun con attori richiedenti asilo ed immigrati. Insieme all’attrice e regista Carmen Luongo fonda a Napoli nel 1996 Zéro de conduite, emblematico titolo che significa “zero in condotta”, ove si dedica alla ricerca ed alla produzione di teatro e cinema, con gli auspici del grande filosofo Gerardo Marotta e grazie alla preziosa collaborazione dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. A via Costantinopoli viene costituito un centro studi dedicato alla scrittura ed all’arte dell’attore. Nel 2003 dopo anni di faticosi lavori, recuperando un’ala di palazzo Marigliano, fonda altresì, insieme ai suoi amici e collaboratori, il Teatro Tintadirosso. Qui, dopo una collaborazione con Giorgio Strehler per Elvira e la passione teatrale di L. Jouvet, ha portato in scena soprattutto testi di drammaturgia contemporanea. La reinterpretazione dell’Iliade si è avvalsa della consulenza di uno dei più geniali cultori della cultura classica e di quella greca in particolare, il giovane Daniele Ventre, il quale ha curato, nel 2010 per l’editrice Mesogea di Messina, una traduzione dell’Iliade, che ha ricevuto il primo premio dalla Fondazione Achille Marazza di Borgomanero, in provincia di Novara. Daniele Ventre insegna greco e latino a Napoli, ha collaborato con la Sorbona di Parigi, ove, nel 2012, è stato invitato dal prof. Philippe Brunet al convegno sulle traduzioni isometriche di Omero in lingue moderne. Sempre nel 2012, esce la sua prima raccolta E fragile è lo stallo in riva al tempo, Edizioni d’If di Napoli, nella cui recensione si legge: «È Un moderno canzoniere dell'anima declinato in strutture di grande sapienza formale. Per chi ama le eleganze creative e le metafore d'autore per raccontare una guerra non dichiarata e forse nemmeno combattuta».  Da sempre è impegnato in traduzioni di opere classiche, come di Omero e di Euripide, e nella cultura. Riportare al vivo le commosse vicende dell’antica Grecia è bello. E così aveva fatto forse nei tempi antichi il cieco vate, attingendo al ricco tesoro delle tradizioni popolari, che avevano perpetrato di generazione in generazione le gesta eroiche dei popoli ellenici, culla di tutto il pensiero occidentale. Così aveva tratto l’ispirazione e la materia delle sue canzoni: narrare in versi armoniosi le gesta degli eroi nazionali, infondere ad essi con l’arte la vita ed il sentimento. Questo è il genio potente di Omero, che con l’Iliade e l’Odissea ha creato la vera e grande epopea, modello insuperato a tutti i posteri. Rivedere questa magistrale reinterpretazione dell’Iliade, così curata, nei minimi dettagli, è come ripercorrere le vie della foscoliana Troade inseminata. Immedesimarsi: questo significa dar vita all’arte, perché l’arte è vita stessa e noi tutti in ciò siamo artisti. È artista chi recita, è artista chi assiste, altrimenti non avrebbe senso. L’Iliade ci dice cose universali, valide per tutti e sempre, cose che avvengono in tutti i tempi, anche oggi. Questo è il classico: poter dire ad ogni uomo, nato in ogni tempo, un qualcosa che è sempre vero. E vedi Paride, l’avvenente figlio di Priamo, sedurre la consorte di Menelao, la più bella di tutte le donne. E da questo peccato originale, come quello commesso da Eva nei confronti di Dio, sorge la guerra originaria, la regina di tutte le cose, come la definiva il profeta Eraclito. I principi e gli eroi di Grecia si levano in armi contro Troia, primo tra tutti Agamennone, figlio di Atreo e l’eroe Achille valido e bello, figlio di Peleo e di Tetide, dea del mare, duce dei Mirmidoni rozzi e fieri. Due sono i protagonisti del poema, gli eroi Achille ed Ettore… il resto lo lasciamo alla visione di questa stupenda, ribadisco, interpretazione del poema omerico, la quale si può trovare anche in dvd. Il mondo dipinto da Omero è ideale, mitico, ma nello stesso tempo, umano, troppo umano. Insieme agli eroi e gli uomini entrano in scena gli dei, alcuni dei quali sono per i greci, altri per i troiani. Ma questo continuo intervento di entità soprannaturali non turba l’armonia dell’insieme. Omero abbassa il cielo ed innalza la terra quasi che si toccano nell’ideale eroico, come negli eroici furori del Nolano. Il Furor diviene il motore di tutte le cose, la Wille schopenhaueriana. Colui che assiste all’Iliade, come colui che la medita è trasportato inconsciamente di meraviglia in meraviglia. Ed intanto la poesia è universale, perché è andata a toccare quegli eterni junghiani archetipi. In questa dispersione possiamo ravvisare anche l’illusione dell’arte, che non è, come malamente si potrebbe interpretare, l’arte di mentire. Anche la rappresentazione teatrale, come la poesia è illusione, ma non nel senso negativo. In ludere significa giocare, e nel gioco capire la vita stessa. Ridendo castigat mores. Il fine ultimo, allora, la destinazione di ogni rappresentazione è innanzitutto questa: comprendere la vita di cui tutti noi facciamo parte, come gocce che scorrono in un fiume che eternamente scorre. L’illusione è unita al dramma della vita, perché la vita è come un teatro, ove ognuno di noi deve fare la sua parte, fosse anche quella di spettatore. La persona è il personaggio, non vogliamo solo fare un omaggio a Pirandello! Nel linguaggio omerico, tutto ciò che un eroe, o un protagonista sente, pensa, prova viene esposta in forma di discorso diretto. I dialoghi sono continui, veri, vivaci, caratteristici già nel poema, immaginate un po’ nell’opus teatrale! L’eloquenza non è finta, ma sentita, scaltra. Il vate diventa il narratore, lo storico, perché procede tranquillo, minuzioso, non si affretta mai, si ferma sui particolari, anche i più piccoli, anche se questi non appesantiscono tutto l’insieme. A parte la questione omerica, all’inizio tutto è poesia! L’Iliade è un quadro in miniatura che raggiunge meravigliosi effetti di evidenza e verità, non solo verisimiglianza. L’Iliade di Bentivenga rispetta fedelmente questa struttura e nella composizione teatrale sa offrire un gustevole dipinto, una dolce sinfonia, un richiamo bello a questo mitico poema del tempo originario del mondo.
Vincenzo Capodiferro

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