LA VOCAZIONE PER IL TEATRO TRA PASSIONE, RAGIONE E FEDE
L’esperienza di
Alessandra Aprea, una vita dedicata all’arte
Alessandra
Aprea si laurea in spettacolo al Dams di Bologna con una tesi su Eduardo De
Filippo. Il suo maestro, che la segue nella formazione teatrale è proprio Gino
Maringola, uno degli attori della compagnia di Edoardo. Frequenta l’Accademia
di Arte drammatica al Teatro Bellini di Napoli. La sua attività nell’ambito
teatrale è dinamica e forte: è protagonista, regista, insegnante in corsi di
teatro. Partecipa a Gli uccelli di
Aristofane con regia di Lucio Allocca, a Masaniello
di Tato Russo, al lorchiano Lamento
per Ignacio Sanchez Mejias di Antonio Sirano. Forse è il suo impegno
soprattutto a livello didattico. Ha presentato ultimamente un cortometraggio al
festival di Giffoni, dal titolo Gocce di
verità. Come ella stessa scrive: «Il teatro etico aiuta a riflettere su ciò
che realmente conta nella vita. Mi svegliavo alle 6 di mattina per andare a
lezione nei quartieri spagnoli dal mio adorato maestro Gino Maringola. Come ho
scritto nel mio libro Carol. Un attore
diventato santo, oggi mi manca più che mai la parte wojtyliana, il suo
essere gentile. Egli mi ringraziava ed io lo ringraziavo. Una volta mi ha
regalato una targa con su scritto Una
vita per il teatro. Da allora ho capito che aveva acceso una fiaccola che
non si spegne. Anzi di più! Come era solito dire il grande Eduardo: il mio cuore continuerà a battere anche
quando si sarà fermato! Attraverso
il teatro io mi avvicino a Dio e lo ringrazio. Avverto intorno a me che la
voglia di fare teatro si trasmette e coinvolge, soprattutto i giovani. Questa
voglia ci fa ancor oggi pensare, come qualcuno più di una volta ha
sottolineato, ottimisticamente al futuro dell’umanità. Il teatro deve edificare.
Oggi molti programmi televisivi sono paralizzanti. L’arte deve elevare e creare
energia positiva». Belle ed intense parole che significano vivamente il senso
vero dell’arte. L’arte è vocazione, oltre che ispirazione divina. Come si fa
una trovare una perla da Napoli a Villa d’Agri? Eppure la nostra terra offre
dei tesori inestimabili, non solo il petrolio e l’acqua e i boschi. I suoi
modelli sono due uomini che hanno cambiato la storia, in modo diverso, ma vero,
Eduardo De Filippo e Karol Wojtyla. Tutti e due provengono da un’esperienza di
rappresentazioni artistiche. Tutt’e due provengono dall’arte e l’arte ha il
potere di sconvolgere il mondo. Nel ’68 era di voga il motto: fantasia al
potere! La fantasia al potere può esprimere al massimo tutto il potere della
fantasia, quando questa però è invogliata a buoni propositi ed a fini giusti. D’altronde
la vita è sogno e non lo diceva solo
de La Barca. «La vita non è che un’ombra in cammino; un povero attore che si
agita e che si pavoneggia per un’ora sul palcoscenico e del quale poi non si sa
più nulla,» poteva scrivere Shakespeare. Ma tutti si erano accorti di questa
stretta unione tra sogno e realtà, tra vita e teatro, per usare la metafora di
Alessandra, da Cartesio a Schopenhauer, fino a Nietzsche. L’arte, come diceva
Aristotele, deve avere un grande ruolo catartico, altrimenti non serve a nulla.
L’ideale estetico può condurre a Dio solo se c’è questa intrinseca finalità,
altrimenti può anche allontanare dalla retta via. Ricordate a proposito il don
Giovanni kierkegaardiano. Ma d’altra parte solo l’artista può cogliere
l’Assoluto, lo diceva Schelling: «Ogni splendido quadro nasce per il fatto che
si toglie quella muraglia invisibile che divide il mondo reale dell’ideale, e
non è se non l’apertura attraverso la quale appaiono nel loro pieno rilievo le
forme e le regioni di quel mondo della fantasia, il quale traluce solo
imperfettamente attraverso quello reale». Questa forte dimensione dell’arte ha
ritrovato al sua recondita e rilucente espressione in questa donna, Alessandra
Aprea, che ha dato la vita per il teatro, oltre al fatto che la vita è teatro. E
pure il grande nostro maestro Platone, che tanto condannava l’arte come
imitazione dell’imitazione, a volte l’approvava come rivelazione della bellezza
visibile dell’Uno invisibile eterno:
«Lieve cosa è veramente il poeta, alata e santa.» - scrive nello Jone - «il poeta è capace soltanto se
posseduto da un Dio; privo ormai di ragione deve tutto esaltarsi ed, estenuata
la mente sua, scomparire; fino al momento in cui nell’uomo le facoltà razionali
rimangono intatte, l’uomo non sa comporre poesia, non sa cantar vaticini».
Vincenzo Capodiferro
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