19 aprile 2013

Tributo ad Alda Merini

TRIBUTO AD ALDA MERINI
 
Al Lucignolo Café di Brugherio, gestito da Antonio e Maria, spesso si assiste a incontri culturali interessanti e che fanno crescere dentro. Ritrovo di poeti e scrittori, di pittori e fotografi, è un vero piccolo eden di incontri piacevoli.
Giovedì 18 aprile 2013 ero anche io presente all’incontro tributo ad Alda Merini.
   Si è parlato poco di poesia, ma si è detto molto della donna, della persona, della sua straordinaria stravaganza.
   A parlarci di Alda, Aldo Colonnello, direttore artistico del teatro Villa Clerici, gallerista, amico della Poetessa e Vice Presidente del comitato “Pro Nobel Alda Merini”.
   Prima di cominciare, il dr. Colonnello ci ha sorpreso con la frase: «Dietro a tutto quello che verrà detto stasera, c’è la regia di Alda, un atto d’amore».
   Dopodiché è un susseguirsi di ricordi, di aneddoti, di… Alda. Lui l’ha conosciuta nel 2003, l’aveva contattata per partecipare a una serata in teatro. La Merini aveva accettato, ma, purtroppo, non poté andare all’incontro perché ricoverata in ospedale. Dopo circa un mese la richiamò e, dice, fu come se fossero stati amici da anni e non fosse passato del tempo fra il loro primo incontro e quell’attimo.
   Alda, per quei pochi che ancora non lo sapessero, fu internata in manicomio e, tra uscite e entrate, vi restò per quattordici anni. Lei ricordava di aver subito 46 elettroshock. Ma la grandezza del personaggio è che non si fece mai abbattere dal dolore, dal male fattole; lei risorse amando la vita e le persone. Spesso diceva che le persone più trasparenti e più belle le aveva conosciute proprio fra i malati coercitivi.
   Ricordiamo Alda sempre con una sigaretta accesa fra le dita… Colonnello ci svela che, mentre si trovava internata, la sigaretta costituiva il premio che veniva dato ai malati. Ecco spiegato quel gesto, quel gratificarsi, riuscendo addirittura a fumare in luoghi dove è assolutamente proibito, come in un ospedale o sul palco di un teatro!
   Sorprende come riuscisse a scrivere le sue poesie. Per lei non era un momento di fatica artistica; mentre parlava d’altro, magari di un argomento banale, i suoi occhi era come se vedessero un altro mondo. Quasi ci fosse una regia occulta che la guidasse e allora lei dettava le sue poesie. Spesso chiamava Aldo anche sette, otto volte al giorno e, senza giri di parole, gli intimava: «Scrivi!»
   Nella sua borsa portava sempre con sé il rossetto, perché lei ci teneva a essere in ordine. Ed era lo stesso rossetto col quale scriveva i numeri di telefono sul muro dietro la testata del letto. Un giaciglio che faceva anche da poltrona col quale ricevere gli ospiti, sdraiata come una Cleopatra di altri tempi.
   Alda era una persona comunicativa, quasi un pifferaio magico al femminile che sapeva parlare a tutte le generazioni.
   Dispensava consigli, lei che aveva subito l’alienazione della personalità in manicomio, dove si viveva in modo promiscuo. Ma che fuori, rivendicava la propria femminilità e la sua identità.
   Generosa, al punto da donare, estraendo i soldi dal reggiseno, circa cinquecento euro a una ragazza dell’Equador che viveva facendo i mestieri. Una sconosciuta. Perché lei amava la gente.
   Certo, aveva come tutti, le proprie simpatie e antipatie, andava molto a pelle. E questo a qualcuno dà fastidio. Io ritengo che avesse tutto il sacrosanto diritto di scegliere. Perché, il suo disagio le aveva concesso di essere una persona libera, più di quanto riusciamo a esserlo noi, imbrigliati nel galateo del “questo non si fa”.
   Aveva molti amici e li amava in modo particolare, quasi gelosa di loro, tanto da fare in modo che fra loro non si conoscessero. Colonnello pensa che questo atto fosse anche un gesto di protezione, per non far nascere nessun tipo di competitività.
   Non ottenne il nobel, anche se fu candidata. Alda diceva che non le importava, che il suo nobel erano gli amici.
   Di lei ha lasciato i meravigliosi testi che dicono tutto della sua vita: un’esistenza dove c’è stato tutto e tanto. Un’antitesi di sentimenti in una sola persona. Quattro figlie, la sua fede, la serenità, i forti sentimenti nei quali non si risparmiava. La maledizione e la necessità di dover parlare di quei quattordici anni che le avevano segnato la vita irrimediabilmente, ma che le appartenevano in modo assoluto.
   Il giorno prima della sua morte, ha voluto fumare ancora una volta una sigaretta. E questa immagine ci racconta molto di lei, ci lascia la sua figura così come l’abbiamo sempre vista.
   Personalmente, nel 2006, ho avuto il grande onore di essere inclusa, con lei, in un’antologia che raccoglieva i quaranta migliori poeti lombardi. Ricordo che durante la serata non feci che aspettare il suo arrivo, per poterla conoscere di persona. Purtroppo, non venne, perché indisposta. Mi resta una poesia stampata vicino alla mia, che ritengo di una forza inesprimibile. Il testo è intitolato “Fogli bianchi”.
   A duecento metri dalla sua abitazione sui navigli milanesi, in Via Magolfa, è stata aperta la casa museo di Alda Merini. Dove verrà a breve esposto anche il muro, il suo muro, con i numeri e i tanti disegni.
   Leggere le parole che ci ha lasciato è fare un viaggio straordinario nella vita di una persona che, di sé, ha dato a piene mani il suo essere. Per alcuni era solo una persona misera, una barbona, una tizia stravagante. Sono una minoranza, cuori piccoli che non sanno riconoscere l’altro al di là dell’apparenza. Alda Merini era per gli ultimi, mai ultima, ma che sapeva cosa significasse esserlo.
  
© Miriam Ballerini
  

 

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