LA POETICA DI CARLO ANTONIO GIANINAZZI
Carlo Antonio Gianinazzi è nato a Lugano nel
1936. Nel settembre del 1976 diede alle stampe il suo primo libro di
componimenti poetici “Fiori di ghiaccio”, che ottenne un buon risultato da
parte della critica ed un sentito plauso del pubblico. In un concorso di poesia
a Roma nel 1971 si distinse tra i primi sette finalisti. Di lui scrisse
Francesco Chiesa nel 1972: «Le sue poesie rivelano un animo gentile ed aperto
alle belle armonie». Ed è vero, basti leggere “Nell’ora dei ritorni”, edito da
“La voce di Castagnola” a Busto Arsizio nel 1978, un secondo taccuino di
appunti preziosi che andava dal 1976 al 1978. Sono anni particolari, animati da
speranze ed attese e da turbini e incresciosi mutamenti storici, sociali e
politici. E, come scrisse Giuliano Albani del nostro, il suo giorno dopo giorni diventa il nostro, perché lo specchio che
Gianinazzi ci offre è terso, privo di incrinature. Neppure quel velo di
malinconia che avvolge tutta la sua opera riesce ad avere il sopravvento sulla
freschezza delle singole azioni, che, con crudezza lapidaria, Gianinazzi ha
fermato prima che si concludessero. Esistono e continueranno ad esistere
soprattutto in quell’ora dei ritorni tra quella brulicante folla che mai riesce
ad essere protagonista. Melanconia, amore, felicità, disperazione sono i
petali che cadono dal fiore della poesia del nostro, una poesia fatta di
frammenti che sono laconici ed ermetici flash che ti lasciano abbacinati. Basta
riportarne alcuni, per comprendere appieno la portata di questi “lampi”, come
li definisce sempre l’Albani, i quali poi si attenuano, e le sfaccettature si
uniscono fino a formare un diamante purissimo in cui possiamo specchiare noi
stessi. Lo stile del nostro è scarno, crepuscolare, ridotto all’osso, ed in
questo si avvicina alla tradizione ermetica italiana, è uno stile quasi
ungarettiano. C’è allora «il dolce canto di un violino» che «ti suona dentro». C’è
«il sorriso di bimbo che ha ragione della gente senza volto che pure aspetta un
nuovo Cristo che cosparga di rose le pietre nei petti». Non mancano tematiche
di forte e pesante attualità come la cementificazione selvaggia: «Cemento …
stagliata nel cielo una gru… rimasto per sbaglio laggiù un albero verde che
stona». Pensate “Ai bimbi morti in guerra”: «Cosparsi di neve / i petali sparsi».
Si tratta di una poesia sparata fatta di assonanze che ricorda i “Soldati” di
Ungaretti. I petali, come le foglie, sono caduchi, e così pure Omero: «Come la
stirpe delle foglie, tale è quella degli uomini». E concludiamo con un classico
autoritratto, su sintonie leopardiane, od alfieriane «Sono triste / d’esser
triste / questa è una parte / del mio tormento». Le poesie di Gianinazzi sono
stati folgori che hanno guizzato albori di sentimenti e di pensieri trai laghi
ed hanno animato il canto della terra insubrica, che non ha mancato di dare i
suoi frutti.
Vincenzo
Capodiferro
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