07 dicembre 2012

Fedro e la giustizia di Teresa Armenti


FEDRO E LA GIUSTIZIA

Dodici favole rivisitate in vernacolo da Teresa Armenti

 
 

  Nella collana “I Saggi” dei quaderni curata dall’associazione culturale Lucaniart è comparsa in questo autunno caldo ed altezzoso, un’operetta significativa ed apprezzabile della poetessa e scrittrice Teresa Armenti, dall’emblematico titolo “Fedro e la giustizia”. L’autrice parte da un dato di fatto dirompente: «La notizia della condanna a 14 mesi di carcere data al Direttore del Giornale Alessandro Sallusti,» citiamo testualmente «per il reato di diffamazione, senza condizionale, mi ha fatto rizzare i capelli, mi ha fatto mettere in discussione tutta la giustizia italiana e mi ha fatto andare indietro nel tempo, di 2000 anni, quando Fedro …» e di qui nasce questo brevior ma incisivo exploit sul mondo frediano, in cui primeggia la fabula, con tutta la sua carica rappresentativa e morale. L’autrice ha estrapolato le favole sulla giustizia ispirandosi direttamente alla sua tesi di laurea su Fedro, discussa presso il Magistero di Salerno il 14 luglio 1974, essendo relatore il Prof. Riccardo Avallone. Il tema forte della giustizia padroneggia nella rilettura di Teresa, all’insegna dell’espressione frediana: Plebeio piaculum mutire est. Vi vengono riportate, nella suggestiva drammatizzazione vernacolare quelle tinte pessimistiche e sfumature moralistiche tipiche del favolista latino. E dal latino al vernacolo lucano, il dialetto che viene quivi adusato, il salto è molto breve: quante parole - basti pensare – delle nostre lingue derivano direttamente dal latino, o dal greco, o dal celtico, se pensiamo ad esempio ai dialetti insubrici! Queste sfumature si possono cogliere nelle affermazioni decisive che si ritrovano nei commenti che accompagnano il passaggio da una favola all’altra: «Per Fedro, la legge che regola i rapporti umani è quella del taglione: - occhio per occhio – dente per dente – e rendere male a chi fa il male. “Non bisogna danneggiare altri, ma se qualcuno offenderà, sia parimenti offeso». Ed ancora «L’astuzia può essere punita dall’astuzia, la violenza dalla violenza e dall’astuzia». «La giustizia, anche quando sembra realizzarsi, non rompe la catena dei rapporti di forza e di frode». «La giustizia non è assicurata dagli dei e neppure dall’organizzazione degli uomini». Sono letture importanti, eppure la cosa più bella che traspare da questo exploit è proprio l’uso del vernacolo, nella sua purezza e schiettezza. Quel mondo della favole non è tanto distante dal nostro mondo ancestrale, quello della Lucania sconosciuta, dei suoi paesi appesi a briciole di storia, di tradizioni, di costumi che si riconoscono pienamente in quell’esemplarismo fedriano. E la storia, purtroppo, si ripete! Come in quel mondo animalesco, dominato  da un ancestrale, belluinico, hobbesiano stato di natura ove troneggia l’homo homini lupus, o l’uomo che  machiavellicamente si destreggia tra la golpe ed il lione. Teresa Armenti vive da quando è nata in un ameno paesino lucano, Castelsaraceno, aggrappato alle pendici ora riottose, ora lievi, dell’Appennino. Ha insegnato per anni Lettere e si è dedicata alla cultura, alla storia ed alla poesia. Fa parte di numerose giurie di concorsi letterari, tra cui quello di Solofra e “Pubblica con noi” Fara di Rimini. Tra le sue opere ricordiamo “Quotidianamente” (1993); “La danza di attimi vaganti” (1996);  “S. Angelo al monte Raparo e il culto micaelico” (1998); “Mio padre racconta il Novecento” (2006). Ultimamente, insieme all’amica e collega Ida Iannella,  ha curato una mostra itinerante sull’archeologo Dinu Adamesteanu.
 
Vincenzo Capodiferro

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