05 ottobre 2011

Libri: intervista a Paola Chiesa su "L'Italia chiamò"


TRA BREVE LEGGEREMO IL LIBRO “L’Italia CHIAMò” CHE LA   SCRITTRICE PAOLA CHIESA HA SCRITTO SU LUCA BARISONZI
 
Per Luca la missione non è terminata in Afghanistan ma continua qui, in Italia, facendo interminabili fisioterapie
Da alcuni anni la scrittrice pavese Paola Chiesa, docente e studiosa di storia locale, ha accesso al Comando Militare Esercito Lombardia e agli Archivi del Centro Documentale di Milano, pertanto, ha al suo attivo una serie di pubblicazioni sulla memorialistica dei soldati lombardi e della Croce Rossa.  Infatti, fra le sue ultime pubblicazioni edite dalla casa editrice Mursia si annoverano “Carissima Famiglia…” La Croce Rossa e le lettere dei prigionieri di guerra milanesi e DIO E PATRIA. In quest’ultimo ha profuso tutta la sua passione; è un favoloso volume denso di emozioni che parla della storia di centodieci Sacerdoti lombardi con le stellette, le loro biografie e raccolte di lettere inviate dal fronte o dalla prigionia. Cappellani che non furono soltanto religiosi e militari ma uomini capaci di donare ai soldati l’affetto e il sostegno necessari per affrontare i tanti momenti di difficoltà e sconforto; cappellani che hanno condiviso il momento storico con uomini che avevano bisogno di Dio. Questo libro, pertanto, è stato giusto averlo presentato nell’importante Palazzo Cusani Sede del Comando Militare Esercito Lombardia.
La giovane e brava scrittrice Paola Chiesa, ora ha terminato un’altra particolare opera letteraria che tratta del giovanissimo Alpino Luca Barisonzi gravemente ferito in Afghanistan, tuttora ricoverato presso l’Ospedale Niguarda di Milano all’Unità Spinale.
Incuriosita, mi sono recata presso il Centro Documentale di Milano dove sapevo di trovare Paola Chiesa. Lì ho conosciuto il Colonnello Sergio Felice Lepore, Comandante del Centro Documentale Esercito Italiano di Milano, che mi ha gentilmente accolta e dato disposizioni di accompagnarmi dalla scrittrice.
L’ho trovata in un infinito archivio sito nei meandri dei sotterranei della Caserma. Era tutta intenta nelle sue ricerche con l’entusiasmo che solo poche persone trovano nel lavoro che svolgono. Era orgogliosa di avere quel privilegio e, con gli occhi scintillanti, affascinata dal Mondo Militare, mi ha fatto visitare una parte dell’archivio.
Paola Chiesa, dunque, è una giovane scrittrice entusiasta della vita e del lavoro che svolge, nel quale lei mette tutta la sua passione. Dopo i convenevoli, ho proceduto ad intervistarla.
Di cosa parla questo libro dal titolo “L’Italia chiamò” che ha appena terminato?  E’ il risultato dei racconti del Caporal Maggiore pavese Luca Barisonzi che ho avuto il privilegio di conoscere grazie al Generale di Brigata Camillo de Milato, Comandante l’Esercito Militare Lombardia. Il volume riporta l’esperienza di un ragazzo che ha deciso di servire la Patria indossando la divisa. È partito per la sua prima missione con lo scopo di restituire la libertà al popolo afgano. Di questo, ne sarà sempre orgoglioso”.
Luca Le ha confidato cosa spinge un ragazzo a lasciare la famiglia per partecipare a una missione? “Sì. Luca ha sempre sognato di aiutare gli altri. Di mettere la sua vita al servizio di chi era meno fortunato. Nasce così, giorno dopo giorno, il desiderio, la voglia di arruolarsi volontario nell’Esercito Italiano. Partecipare alla missione era per lui un sogno. I suoi genitori erano preoccupati e un po’ spaventati per questa decisione, ma non l’hanno mai ostacolato. Mai. Sapevano che in questo modo Luca poteva aiutare chi realmente aveva bisogno. Sapevano che, partendo, avrebbe realizzato il suo sogno.
I proventi di questo libro a chi andranno? “Interamente a Luca. Ho deciso di devolvere a Luca tutti i proventi delle vendite compresi i diritti d’autore. Per questo, non figuro come autrice ma come curatrice del volume”.
Quindi, alle varie presentazioni del libro, avrà il compito di portare al pubblico tutte le sue emozioni? “E’ un compito che mi commuove”.
Nel libro ci sono episodi che ha nascosto a tutti, compreso alla madre e alla fidanzata? “E’ naturale confidarsi con “un’amica” anziché con i propri familiari – risponde dolcemente Paola – con me Luca ha esternato tutte le sue emozioni e sensazioni. Luca era alla base di Bala Murghab. Essendo una base avanzata, aveva a disposizione delle postazioni per la connessione internet. Grazie ad internet poteva comunicare di frequente con la famiglia. Cercava di rassicurare i suoi genitori dicendo che tutto andava bene anche quando la realtà era ben diversa. Non poteva raccontare tutto. Avevano dei regolamenti ben precisi da rispettare. Soprattutto al telefono era rischioso parlare. Ai suoi genitori ha sempre detto la verità sulle sue condizioni fisiche, di salute. Dire “Mamma, va tutto bene” significava che non aveva niente di rotto. Ha sempre cercato di trasmettere a tutti la sua felicità. Felicità per una vita che aveva scelto lui. Sentiva i suoi genitori e la sua fidanzata ogni due, tre o cinque giorni. Non, quindi, a scadenze fisse. E tutto questo per non preoccuparli in caso di mancata chiamata. Non ha mai raccontato “in diretta” le operazioni notturne, la tempesta di sabbia o le missioni umanitarie. Ha preferito farlo una volta rientrato in Italia ma ci sono cose che la mamma di Luca scoprirà solo quando uscirà il libro”.
Lei come ha reagito davanti al dramma di Luca e ai suoi drammatici racconti? “Le prime volte trattenevo l’emozione. Non so perché. A Luca volevo trasmettere forza. Non tristezza. Con il passare dei giorni mi sono lasciata andare. Più di una volta Luca mi ha vista piangere. Di fronte al suo dramma mi sentivo impotente ma, con il tempo, ho imparato a stargli accanto. Devo innanzitutto ringraziarlo perché mi ha fatto capire che la vita vale la pena viverla in qualunque modo. Devo anche ringraziarlo per avermi fatto entrare in punta di piedi nella sua vita”.
Fra voi si è instaurata una bella amicizia? “Sì. La definirei soprattutto complicità. Quando entravo nella sua stanza, spesso mandava via tutti per parlare solo con me. Quando iniziava a raccontare, non avrei mai voluto fermarlo. Gli brillavano gli occhi”.
Penso che anche Lei abbia svolto una missione, vero? “Penso che sia stata una missione istruttiva che mi ha fortificata”.
Può raccontare qualche piccolo episodio narrato nel libro? “Mi ha molto colpito come ha trascorso il Natale. Il primo Natale lontano da casa. L’albero era addobbato con tappi di bottiglie e altro materiale di recupero come fili elettrici o sacchetti di sabbia. In questo modo Luca e i suoi compagni hanno creato quell’atmosfera natalizia che, in Afghanistan, tanto mancava. Un altro episodio è quello legato alla tempesta di sabbia. Luca non sapeva cosa fosse. All’improvviso si è trovato immerso in un vortice ed ha vagato per qualche istante al buio senza punti di riferimento. Solo in quel momento ha compreso il significato di tempesta di sabbia!”.
Della popolazione afgana cosa ha raccontato? “E’ entusiasta di quella popolazione e quando racconta di loro il suo viso si illumina. Era molto contento quando vedeva i bambini sorridere. Quei bambini in principio si avvicinavano agli italiani per avere dei biscotti poi, una volta conquistata la fiducia, tornavano semplicemente per un po’ di compagnia. Per stare con loro. In quei momenti Luca ha capito l’importanza della sua missione”.
Qual è stato il capitolo più commovente? “Senz’altro quello legato al giorno dell’incidente. Il 18 gennaio 2011”.
Ce lo può brevemente raccontare? “Come abitualmente avveniva, i soldati afgani chiedevano ai nostri soldati la cortesia di farsi pulire l’arma.  Pensando che quel soldato afgano si fosse avvicinato per quel motivo, Luca si sentiva tranquillo, invece, lo stesso, improvvisamente, ha aperto il fuoco, sparando a lui e a Luca Sanna”.
E poi? “Quando Luca è caduto a terra è rimasto immobile, sentiva solo delle voci che lo chiamavano, che gli dicevano di stare tranquillo. In un primo momento ha sentito fastidio dietro la testa. Come se fosse caduto su un sasso. Sentiva i compagni che lo rassicuravano. Uno di questi sosteneva che forse era stato solo ferito alla spalla e che dietro alla testa gli era stato messo un sacchetto di sabbia. Allora Luca chiese al compagno di togliere quel sacchetto. Quando è stato appena sfiorato, ha sentito un dolore lancinante. Nonostante il dolore, continuava a sentire le voci dei compagni che gli dicevano di resistere, di non mollare. Quando l’hanno caricato sulla barella per trasportarlo in elicottero, con la coda dell’occhio ha notato che a terra c’era un altro compagno. Ha intuito che potesse essere Sanna. L’ultimo ricordo dell’Afghanistan che Luca ha è alla base mentre i medici erano intenti a tagliare la mimetica. Dopodiché si ricorda di aver aperto gli occhi a Milano, all’Ospedale Niguarda”.
Dopo questo dramma che lo ha investito, Luca è ancora favorevole alle Missioni di Pace? “Sì e lo rifarebbe. A mio avviso, però, non è corretto chiamarle missioni di pace. Sono missioni internazionali che cercano di riportare la pace là dove regna ancora incontrastata la guerra. Non si può parlare di pace se qualcuno ci spara addosso! Quando parti per una missione così impegnativa, sai che qualcosa può andare non secondo i piani. Non come avevi previsto. Lo sai. E Luca lo sapeva. È stato addestrato per essere pronto a tutto. È vero. Ma alla morte di un compagno proprio no. Il volume, lo ha dedicato proprio a Luca Sanna”.
Luca ha ancora Fede? “Sì. A mio avviso ha una fede enorme. Quando prestava servizio alla Caserma Santa Barbara di Milano, un compagno gli ha regalato un rosario. Quando è partito per l’Afghanistan, Luca aveva deciso di mettere in valigia proprio quel rosario. L’ha sempre tenuto con sé. Sempre. Tranne il 18 gennaio 2011”.
Qualche volta è giù di morale? “Assolutamente no. Ha la volontà di andare avanti. Per Luca la missione non è terminata in Afghanistan ma continua qui, in Italia, facendo interminabili fisioterapie".
Ci può parlare della fidanzata di Luca? “Sarah è una ragazza eccezionale, come lui. Ha trascorso l’estate al Niguarda al suo fianco. Non l’ha mai lasciato solo. Mai. È stata sempre con lui”.
Per il futuro, che idea si è fatta la ragazza di Luca? “Sarah è americana. Dopo il college che sta frequentando, si trasferirà in Italia. Vuole vivere con lui nella casa che gli alpini stanno costruendo a Gravellona Lomellina in provincia di Pavia”.
La mamma di Luca cosa ne pensa di chi ha procurato tanto dolore al figlio e a tutta la famiglia? “La signora Clelia è una donna speciale con una forza d’animo incredibile. Non vuole sapere nulla di colui che ha causato il ferimento del figlio anzi, se dovesse essere morto, come mamma pensa al dolore dell’altra mamma e se ne dispiace”.
Chiunque abbia seguito gli avvenimenti di Luca Barisonzi ferito in un’Azione di Pace in Afghanistan, può rendersi perfettamente conto della verità di quanto leggeremo nel libro “L’Italia chiamò” edito prossimamente dalla casa editrice Mursia ed elaborato dalla bravissima scrittrice Paola Chiesa. Il volume riporterà le Presentazioni a cura del Ministro della Difesa Ignazio La Russa, del Comandante delle Truppe Alpine Generale di Corpo D’Armata Alberto Primicerj e del Presidente dell’Associazione Nazionale Alpini Corrado Perona.
Dopo averla ringraziata, le ho chiesto di invitarmi alla presentazione del libro.
 
Principia Bruna Rosco

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