07 novembre 2009

Sulla morte di Alda Merini

di Antonio V. Gelormini
Era sbocciata insieme alla primavera e ai suoi profumi il 21 marzo di settantotto anni fa. Se n’è andata con un refolo autunnale. Leggera come le foglie che lo inseguono. “Bella come il silenzio”, ora ricolmo dei suoi versi immortali. Alda Merini dal 1 novembre è approdata nella sua agognata “sfera di stelle”. Cullata dalle braccia di Erato, Calliope ed Euterpe, già prima della sua fioritura, è cresciuta, trovando spesso rifugio, nella dolcezza della poesia, del canto e della musica. Un amore folle, mai geloso, lungo una vita. Una linfa energetica smisurata, che ne illuminava gli occhi e i sentimenti, mentre ne stancava le mente e le giunture. Ma che, al termine degli intervalli più nebbiosi, le faceva gridare con intima e sommessa soddisfazione: “Mi sento sana di poesia”. La vita le ha sorriso attraverso le grate più dure, rafforzando in lei quell’invidiabile e serena accettazione delle traversie, temprando uno stato d’animo votato all’amore smisurato e alla continua ricerca del bene e del bello. In particolare, in quelle incessanti maree di male, che per tanto tempo hanno invaso la sua apparente ingenuità. “L’inferno della vita me lo sono goduto tutto”, amava ripetere. Ma aggiungeva anche: “I poeti non si chiedono mai da che parte viene il male, l’accettano e lo trasformano in poesia. Una sorta di cambiamento della materia, che diventa fuoco. Fuoco d’amore per gli altri”. Una fede nel prossimo cieca ed incrollabile, perché: “Il poeta lavora per il sociale, lavora per gli altri. Il poeta è felice quando sa che quello che scrive serve anche agli altri. Questa è la forza che mi fa ancora scrivere”. Una forza che l’ha accompagnata fino all’ultimo istante. “Nei suoi versi c’era il profumo del paradiso” ha detto commosso l’arcivescovo Gianfranco Ravasi, attento ed appassionato estimatore di Alda Merini. Forse è la più bella carezza che potesse mai ricevere, dopo le innumerevoli dichiarazioni d’amore sparse col fumo incessante delle sue sigarette. In un inverno di parole vuote quel fumo sa tanto d’incenso, e quelle tirate senza fine delle autentiche boccate d’aria pura. L’ape furibonda riposi ora nel miele della sua cella.
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Immagine reperita su Google.

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