20 ottobre 2007

L'Arte di Isa Tulino

di Augusto da San Buono

Insieme a "lei" percorrevo le strade della città vecchia di Lecce, dov'erano un tempo le affumicate e ingombre botteghe dei cartapestai, che avevano mani magiche e facevano levare nuvole di fumo al cui diradarsi appariva una madonna barocca contadina che esprimeva lo squasso mistico e il genio antico dei barbieri di via Grandi, che tra un salasso e una barba, con abili dita plasmavano tozzi di creta informi e davano vita ai pupi del presepio. Sul finire dell'Ottocento, queste botteghe divennero dei veri e propri cenacoli d'arte, in cui convenivano poeti, scultori, pittori e musicisti da tutta la vasta provincia. In queste vie contorte si sente ancora l'odore e il respiro di quelle mitiche "putee" degli artigiani leccesi, che ritroviamo spesso raffigurate nei quadri del primo Suppressa, e costituivano il cuore pulsante di una economia povera, ma non priva di fascino. Allora la bottega bastava alla formazione degli allievi, ma i tempi cambiano, ed ecco che già nel 1915 avviene il passaggio tra la bottega e la scuola, grazie soprattutto alla tenace volontà dell'avvocato Giuseppe Pellegrino , già Sindaco di Lecce, primo storico Presidente della Regia Scuola D'Arte applicata all'Industria, che poi porterà il suo nome. E in seguito,- ma siamo già nel 1961, -ecco il Liceo Artistico e l'Accademia delle Belle Arti, con le quali Lecce consolida la propria identità di città dell'arte, degli studi, della cultura.

Da quest'ultime due scuole - dieci anni di studio complessivo - è appena uscita, fresca di laurea, "lei", la mia accompagnatrice, Isabella Fedele, in arte Isa Tulino, gallipolina purosangue, con uno zaino senza più libri, ma pieno zeppo di idee, progetti, alambicchi, speranze, desideri. I suoi strumenti ? Un brogliaccio, una matita, una penna a biro, una macchina fotografica (in prestito), e tanta voglia di girare il mondo, di abbracciare il mondo, di stupire il mondo di se stessa, delle proprie idee, del proprio entusiasmo, del proprio coraggio un po' incosciente. Vuole andare nei posti che contano per l'arte: Roma, Firenze, Milano, Venezia, Parigi, Berlino, Londra, soprattutto New York, oggi vero e proprio ombelico del mondo, punto di aggregazione, traino di questa nuova società multietnica, che dall'effetto Warhol in poi è diventata la Mecca dell'arte, la capitale della produzione culturale mondiale. Dai tempi dei graffiti di Basquiat, Haring e Schnabel, ( fine anni settanta) ormai tutto passa da lì, creando un enorme comparto economico. Gallerie d'arte, studi di registrazione, locali notturni e musei hanno dato lavoro in quest'ultimo anno a quasi centomila persone. E noi, in Italia, abbiamo almeno altrettanti artisti, pittori, scultori musicisti, o presunti tali, che a malapena riescono a sbarcare il lunario.

A questo popolo ormai globalizzato, si vuole aggiungere Isa Tulino, in jeans sdruciti e T-short, - simbolo della nouvel vague salentina (ma ormai i regionalismi tendono a scomparire. I giovani di tutto il mondo si somigliano, sembrano tutti uguali, vestono allo stesso modo, mangiano e bevono i medesimi prodotti, si appassionano agli stessi avvenimenti, concerti, film, mostre, che li plasmano e li fanno pensare allo stesso modo), che è una ragazza piena di vitalità, che tutto vuole vedere, toccare con mano, assaporare, conquistare, immergersi nelle luci, colori, atmosfere, carpire i segreti, respirare gli ansiti e gli odori della metropoli, catturare volti, registrarli e trasfigurarli in flash irrelati di memoria, da cogliere al volo, nei fast food, nelle metropolitane di Brooklyn, o Manhattan, come ha già fatto centinaia di volte tra la folla leccese, o nel porto di Gallipoli, con la sua arte.

Che arte? Un arte ridicola, improbabile, incomprensibile, enigmatica, avara, che non concede nulla al pubblico, né in termini di pura cromìa, né nelle volute del disegno, che è frammentato, seghettato, miniaturizzato, e tuttavia lo attrae, lo sconcerta, lo disorienta, in qualche modo lo affascina, perché è la stessa arte piena di curiosità, irrequietezza e anfatti dei suoi antichi sconosciuti maestri salentini, che si rifà in qualche modo, - consciamente o no-, all' inquieto segno grafico di Nullo D'Amato, ai paesaggi lirici di Luigi Gabrieli, all'espressionismo di Geremia Re, all'ansia di rinnovamento di Michele Massari, alle intelaiature architettoniche e geometriche di Lino Paolo Suppressa, al lirismo evocativo di Nino Della Notte, all'astrattismo di Aldo Calò, al futurismo di Mino Delle Site e di molti altri artisti facenti parte di quel rinnovamento dell'arte e della cultura leccese che hanno fatto la storia più recente del Salento (la prima metà del Novecento), un momento magico e irripetibile, un periodo splendido, di grande fermento culturale e umano in cui Lecce, da sempre adagiata nel suo torpore ironico e scettico, uscì finalmente allo scoperto, fuori dal proprio guscio e dal proprio isolamento storico e geografico, proponendosi non a caso come la nuova Firenze del Sud.

Com'è la Tulino? E' semplice e complessa, come la maggior parte delle creature umane. Se la guardi negli occhi vedi una distesa azzurra, un mare profondo; e i suoi capelli saraceni sono un 'onda fitta e nera che coprono la vasta fronte in cui s'addensano nugoli di pensieri romantici e folli; fermo e deciso l'ovale del viso, vagamente orientale, che ti parla di una bellezza antica e ribelle, una volontà strenua, una ostinatezza primitiva che non teme scontri muri o croci, e neppure le disillusioni che inevitabilmente costelleranno il suo difficile cammino d'artista ricca di sogni e di energia creativa , piena di memorie messapiche e bizantine . Isa ha dentro di sé l'arabesco elaborato e contorto delle antiche città islamiche dai vicoli ciechi, le ramificazioni quieta e l'isolamento delle corti della sua città bella, e poi la magica commistione dei sapori e dei profumi che recano le donne salentine, e che fanno ressa in loro. E' un "mustazzolo" di mandorle e cioccolato, ma anche uno spinoso fico d'india (devi vincere le spine per trovare l'estrema dolcezza), un ruvido leccio e un asfodelo, un mitico ulivo, un arancia selvatica.

E' piena di frammenti di vita e paesaggi e sogni e incubi dell'infanzia, con una bisaccia a tracolla zeppa di proposte per le sue performance, o un'esposizione sperimentale. Ormai i giovani artisti rifiutano ogni regola imposta dalla tradizione, vogliono la completa libertà, a partire dalla tecnica, e utilizzano tutti i materiali possibili, naturali o artificiali, umili o nobili che siano, sangue e merda compresi. Non esistono più le divisioni tradizionali tra le discipline artistiche, abbondano esempi di installazioni multimediali, in cui convivono pittura, scultura, grafica, musica, fotografia, video, scenografia, teatro e danza. E Isa pratica tutte queste cose, come attestano i suoi interventi in cui si esibisce come performer in "Vasi e Travasi" (2005) nel work shop di Massimo Barzagli, e in "Voglio morire giovane" (2006), il suo primo video.

Che arte è la sua?

Lei dice che dipinge volti, storie di volti enigmatici, ermetici, talora ridicoli, talaltra mostruosi, ma io vedo in quei suoi disegni minuti e strani i Cavalieri della Giostra, Don Chisciotte e Sancio Panza, carlinghe d'areo, figure biomorfe, totem, crani di animali issati su pali, insetti indefinibili, vagamente kafkiani, un bestiario medievale miniaturizzato che si rifà in qualche modo all'asino arpista di Fra Pantaleone, o figure da fumetto d'avanguardia non prive di una certa autoironia, e sento un rumore di vetri infranti, linee rette secche e ferrigne come lance puntate contro se stessa, ("Asta malattia che non mi fa vivere in pace con me stessa"), figure angolose, simmetriche, o asimmetriche in lotta fra loro simboli di una guerra che è dentro di noi e non finisce mai di seminare morti, lutti, stragi, ma anche simboli erotici.

La Tulino vuole rendere visibile l'emozione, il sogno,il pensiero, il processo mentale, vuole stupire turbare sconcertare confondere scuotere le coscienze del comune sentire della gente, e i suoi riferimenti ideologici più palesi si rifanno al grande Francis Bacon, che interpretò al massimo le esigenze comuni alle istanze artistiche e culturali di un certo periodo che vedeva sulla scena mondiale i Picasso, i surrealisti, i Bunuel e gli Ejseinstein. Bacon era un pittore del dolore, faceva trasudare i suoi quadri di tormento, di dramma, decomposizione. Le sue opere suscitarono sorpresa, repulsione, attrazione e ribrezzo. I suoi personaggi mostruosi intensamente viventi lasciano vedere i propri denti, pezzetti di scheletro, stalattiti, stalagmiti rocciose che spuntano davanti alla caverna dellabocca. Bacon mette a nudo l'orrore che si nasconde dietro i paludamenti più sontuosi. La sua è una pittura-teatro in cui l'uomo si trova a dover soffrire la solitudine, diviene oggetto, prigioniero lacerato e insoddisfatto. Anche per la Tulino l'impianto teatrale è basilare (non a caso ha calcato le scene fin da bambina), con al centro, come abbiamo più volte accennato, la trasfigurazione del volto umano, tutta una serie di " volti - come scrive lei stessa - che scivolano sul paesaggio del pensiero e impercettibili affiorano sul passato e dedicano al futuro un imperatore scortese; volti che respirano l'aria della marezza ossidata; volti di saggezza che non si esprime, che si fanno breccia del destino artefice di se stessi; volti esuberanti nel mistero di parole seducenti; volti aggroppati come selle di cavallo; volti essenza della mia anima, ovarii che vedo quando faccio feconda me stessa, quelli che guardo staccandomi dalla realtà, quelli che passano per un secondo, quelli che muoiono in uno sguardo di passaggio".

L'arte -diceva Aligi Sassu - è un compromesso onirico con l'enigma del vivere, io voglio dare alla concreta realtà la figura di un sogno, ma quelli di Isa sembrano incubi, un po' alla Bacon, alla Kafka, alla Munch, tanto per intenderci, anche se realizzati in un palcoscenico non scevro da ironia e giocosità. C'è in lei il senso della libertà, il coraggio di osare, il tentativo di trovare soggetti che le rodono dentro e che sente fortemente di voler rappresentare per non cadere nella decorazione. E c'è anche una grande fragilità, una grande solitudine, una lunga malinconia che non riesce a colmare e un fiume di lacrime. "La più grande arte- affermava Bacon - ti riporta sempre alla vulnerabilità della situazione umana. E aggiungeva: per fare il pittore è necessario conoscere, anche se in forma rudimentale, la storia dell'arte dall'età preistorica ai giorni nostri e libri di animali selvaggi, perché quelle immagini mi stimolano, mi suggeriscono un modo per usare il corpo umano". E questo mi ha fatto pensare, mi ha ricordatolo lo stralcio della sua tesi di laurea sulla "trasfigurazione dei volti" che mi fece avere via e-mail. Le dissi che non capivo l'accostamento tra Cristo e Aristofane, due tipi contrapposti. Allora lei mi rispose (con un sorrisino ironico , j suppose), che non tutti erano geni come me. Thank , Isa... E poi si prese il meritato centodieci e lode , alla faccia mia.

Ora che osservo ancora una volta i suoi disegni, soprattutto le sue incisioni astratte, capisco che la sua intuizione va forse ancora più indietro della storia dell'uomo, va nel cosmo, rimonta alle origini, a quel tanto, o molto, di inconscio che contiene la vicenda artistica, e l'atto stesso del creare; capisco che quelle incisioni sono forse una mappa cromosomica, e che ognuno degli individui della sua grafica e della sua pittura contiene in sé, nella propria intelligenza di sé, il corso lungo degli atti e delle esperienze e delle generazioni. Rivado ai graffiti di Porto Badisco, a Bosch, Schiele e Bacon, ad un sacro possibile dell'arte profana, ma anche al neoespressionismo primitivo di Basquiat, alla terra d'ombra di Afro, alla nona ora di Cattelan, o alla testa di fuoco del dottor Nicola De Maria, ai concetti spaziali di Lucio Fontana, alle lacrime dolci di Mathieu, ai fotogrammi di Cindy Sherman, tutta arte provocatoria, che sconcerta il pubblico, che non serve a nulla, come diceva Wilde, ma contiene quel senso della vitalità e quella sapienza oscura della cognizione d'esistere, dell'esistere "facendo arte", intuizioni irrazionali, mistero non svelato, estrema diatriba tra materia ed essenza, tra corpo e spirito.

"Qualsiasi cosa in arte sembra crudele , perché la realtà è crudele", mi
sussurra all'orecchio Bacon.

E' vero, rifletto. Ed è a questo punto, cara Isa, che mi viene il sospetto (legittima suspicione?) che il "genio" fra noi due non sia certamente io.
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