28 luglio 2007

Dominus vobiscum

di Antonio V. Gelormini

“Et cum spiritu tuo”. Era la corale risposta di un’assemblea di fedeli, che il latino non l’aveva mai studiato, ma che interagendo col celebrante faceva propri i passaggi significativi della messa. Acquisendo un patrimonio di espressioni e di vocaboli preziosi, anche fuori dal contesto prettamente liturgico.

La disponibilità al recupero di un fascino del rito, promulgato da Giovanni XXIII nel 1962, quale aggiornamento di quello risalente a San Pio V e al Concilio di Trento, non va ascritto come una prova del tradizionalismo di Joseph Ratzinger. Al contrario, favorendo la libertà della scelta, il Papa intende evitare al massimo le controversie. Nel momento stesso che alleggerisce molte delle problematiche poco significative, che affliggono la Chiesa, dà prova, ancora una volta, di lucidità, saggezza e moderna elasticità mentale.

Dal prossimo 14 settembre, festa dell’esaltazione della Santa Croce, secondo il Motu proprio di Benedetto XVI: “Summorum Pontificum”, ci sarà una sorta di liberalizzazione nel modo di celebrare la Santa Messa. Sia quella scaturita dal Concilio Vaticano II, secondo il messale di Paolo VI in idioma locale, che quella cosiddetta tridentina, in latino e aggiornata nel 1962, sono considerate forme diverse dello stesso rito romano. In pratica, le facce di una stessa medaglia.

Abolite le dispense vescovili e quelle della Santa Sede. Per le celebrazioni cicliche e permanenti saranno le stesse parrocchie ad organizzarsi per un’armoniosa attività pastorale, per favorire l’unità della Chiesa. La celebrazione, ove richiesta, potrà avvenire nei giorni feriali e una sola volta la domenica e nei giorni festivi. Data la difficoltà della lingua, sarà consentito che le letture (epistole e Vangelo) avvengano in lingua locale.

Il documento papale, inoltre, prevede l’estensione dell’utilizzo del vecchio messale anche per battesimi, matrimoni, cresime, unzione degli infermi e celebrazione delle esequie. E qui bisognerà che i parroci stiano molto attenti, per evitare che il ricorso alla deroga sia generato da inconsistenti motivi di tendenza e di mera scenografia.

L’occasione sarà propizia, anche solo per la necessaria familiarità, a un riavvicinamento alla lingua madre, alquanto sconosciuta alle nuove generazioni. Per quelle un po’ più anziane sarà anche un ritorno ad antiche musicalità della parola, come l’Oremus, il Kyrie eleison, il Christe eleison, l’Orate fratres e, all’esortazione finale dell’Ite missa est, alla risposta decisamente più liberatoria: “Deo gratias”.
(
gelormini@katamail.com)
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