20 maggio 2007

Umberto Saba e l'ammiraglio borbonico

di Augusto da San Buono
Vedi, caro figliolo, il vecchio Saba non credeva nel futuro, era un solitario e un pessimista incallito come lo erano tutti i vecchi del villaggio triestino che "hanno il tabacco./ Hanno il vino rosso./ A pochi passi il temuto cimitero. Ed io / (non quello temo, ai vinti unico pio) /avrei dovuto guarire /, sottrarmi un farmaco letale; /caricarmi di pesi sempre più gravi/- ed è questa - lo so, la legge della vita; /darmi, promettevano, in cambio, essi, una festa/, essi, i miei buoni amici. Perché/ tutto ti concendono i buoni, e non la morte".


Ma il vecchio Saba era anche una miscela di vibrazioni contrastanti, dicotomiche, in lui c'era bontà e sdegno , infinita capacità di comprensione e un alto tasso di permalosità e rancore, assoluta incapacità nell' accettare critiche, ingenuità e ironia, furia e dolcezza. Era vulnerabile, predisposto alla malinconia e alla sofferenza, ma aveva una forte coscienza morale, orgoglio, fierezza, amor proprio, molta considerazione di sé stesso, oggi si direbbe grande autostima e forse ce ne voleva assai in un tempo in cui la sua poesia rimaneva ai margini e doveva dibattersi tra i vari miti dell'epoca, dannunzianesimo, futurismo, ermetismo e poi ancora i vociani, con Papini e Prezzolini ai quali "io appena o mai piacqui. Ero fra lor di un'altra specie". Anche dopo la seconda guerra mondiale dovette confrontarsi con i movimenti della "Ronda", del novecentismo e dello stesso ermetismo, ai quali rimase estraneo ("E' tardi. Affronto lieto il gelo/ di fuori. Ho in cuore di una vita il canto/ dove il sangue fu sangue, il pianto pianto.")


Lui era per la linea semplice e diretta, la linea del cuore, per una lirica forte come una quercia e pura come acqua di fonte, che s'accostava a Leopardi e e non solo per il pessimismo, "o per lo stile e la 'capa' ", le due linee a cui arrivano molti poeti, - amava dire Salvatore Di Giacomo-, ma perché la sua poesia è soprattutto cuore. .. Per "Bertin", come lo chiamava la santa madre, le ragioni del cuore non dovevano mai venir meno, e ad esse egli non ha mai sacrificato la tecnica e la ricerca formale. Ma tu vuoi sapere della sua vita, vero?

Certo non fu facile, anzi....Fin dal concepimento incappò in un padre , che di cognome faceva Poli e di nome faceva, - come scrisse il mio Trilussa, - " fijo de na mignotta", un padre che non esitò ad abbandonare la moglie, - una ragazza ebrea minuta, graziosa, carina, ricciuta e con un'infinita capacità di sacrificio e sopportazione (come tutti gli ebrei), proprio nel momento più difficile e delicato, quando stava per dargli un figlio, che fu battezzato Umberto Poli, all'anagrafe, ma appena crebbe (male) ed ebbe coscienza di essere figlio di tale padre la prima cosa che fece Bertin fu quella di cambiare il cognome, adottandone uno simbolico, (Saba, in ebraico vale per " pane" ), in omaggio all'eroica piccola madre ebrea. Il piccolo Bertin fece vita inquieta agitata sofferta e assai grama, del resto non poteva essere altrimenti, cresciuto nel ghetto, senza padre, sotto lo sguardo apprensivo e geloso della madre che per mantenerlo fece tutti i mestieri più umili, dalla sguattera alla lavandaia a ore. E tutto ciò si rifletterà inevitabilmente sulla sua poesia (che cos'è la poesia se non il deposito, la stratificazione di materiale il più vario e disparato, idee religiose, sociali, politiche che si va ad adagiare dentro di te chissà dove come in una cisterna, una sentina e poi, attraverso le forme, subiscono una decantazione; alla fine quando vai a pescare, tiri su il tutto filtrato e mica lo sai bene quel che viene fuori. boh!). Quelle miserie, quel freddo, quell'angoscia, quelle privazioni, quelle umiliazioni, quella ghettizazzione, insieme ad altre cose sociali politiche culturali hanno costituito il materiale della poesia di Saba, che intanto dovette subito cominciar a guadagnare per aiutare la baracca e dato che viveva in un grande porto franco, appena potè s'imbarco su un cargo come mozzo; più tardi (siamo nel 1907 e Trieste non è ancora italiana) gli venne l'idea balzana di arruolarsi nell'esercito italiano (dieci anni più tardi, durante la prima guerra mondiale, si rifiuterà di imbracciare il moschetto e rischierà di brutto d'essere fucilato) e cominciò a leggere disordinatamente libri su libri, tutto quel che gli capitava sotto gli occhi, e poi cominciò a studiare letteratura italiana, francese e tedesca, sempre da autodidatta ( Saba aveva fatto studi irregolari, frequentando solo per poco tempo il ginnasio e l'accademia di commercio e nautica; ufficialmente conseguirà solo la licenza elementare). Dopo la guerra mise su quella che diventerà la famosa libreria da antiquario "Saba", con gabbiette di canarini, vaschette e fiori di lillà, e con quel mestiere visse per tutta la vita sua tribolata, sempre discretamente angosciato - per sua natura - "discemm inscì" - ma l'ansia si fece disperata e l' angoscia insostenibile quando furono emanate le leggi razziali contro gli ebrei.
 
Allora dovette scapparsene a Parigi (Paris è sempre Paris, anche nell'aiutare i perseguitati) e pianse e meditò a lungo sulla riva destra della Senna sul tedesco lurco che tutto gli aveva strappato; fece per un periodo anche vita da clochard, preso da una disperata malinconia di tipo astenico, ma poi si scosse e si disse ma tu guarda che mona sei, Bertin! Star qui sotto i ponti di Parigi a fare il barbone, mentre la Linuccia mia e tutta la famiglia se ne sta in Italia con rischi e pericoli terribili (la moglie Linuccia non era ebrea, ma insomma, era sempre moglie di un ebreo e non si sape mai come va a finire con "fasisti e todesch!") e così tornò in Italia e andò sul lungoarno, a Firenze, dov'era Eusebio Montale, a poetare e cantare e se lo portò a casa, si travestì da Scarpia, come aveva sempre desiderato, e gli cantò un'aria della Tosca con la sua bella voce da baritono mancato. Montale aveva un talento tutto speciale nello scovare i letterati triestini (dopo Svevo, anche Saba l'aveva scoperto lui, diceva lui, ma gli interessati negarono, dissero che non era vero, nell'un come nell'altro caso, tant'è che Saba prese sempre le distanze dal poeta ligure e anche dagli altri "ermetici", che si incontravano nei caffè alla moda per rifare il verso ai vari "maudit franciosi"). Dopo la cantata della "Tosca", Montale era al settimo cielo, ma Bertin cominciò a bestemmiare piano piano e fitto fitto, in triestino purissimo, e non la finiva mai. Ce l'aveva giustamente contro il lurco tedesco e il fascista abietto che tutto gli avevano tolto, alla fine pianse come un bambino, povero Saba!. Allora quel mona di Eusebio per consolarlo gli disse: Bertin, tu sei un grande poeta, devi saper reagire, l'Italia ha bisogno di te, belin d'un belin!
 
Ma più che il discorso patriottico poterono gli americani e di lì a poco, con la fine della seconda guerra mondiale, Umberto potè tornare a Trieste... nella sua amatissima libreria, che era il suo mondo e fortunatamente era rimasta in piedi. Seguirono anni sereni. Fumava la pipa, riceveva gli amici (pochi) e gli allievi (molti) con i quali faceva un po' il Socrate, anche per quanto riguarda certe usanze tipicamente greche nel rapporto con i fanciulli, ma capitava che venissero a trovarlo da ogni parte d'Italia e del mondo. Un giorno venne un vecchissimo gentiluomo di stampo borbonico, l'ammiraglio napoletano Salvatore Ruggero De Michelis, e gli disse caro Saba, voi siete un gran poeta e mi piacete assai perchè siete così quieto sereno dimesso umile; sì, è vero , ogni tanto siete 'nu poco malinconico, ma la vostra malinconia è cordiale, aggraziata; forse avete pure 'nu poco di travaglio, è vero? - vedo che dite di sì con la capa, caro Saba - ma il vostro è un travaglio cordiale e anche la vostra sofferenza è accussì cordiale. E poi, vivaddio!, parlate di cose che riguardano tutti noi, del senso della giovinezza che si brucia in un volo, dell'aria, della luce che ci sta intorno e del movimento, e del sole e del vento di Trieste e una donna; e fate tutto con semplicità, senza quella presunzione che mostrano tanti colleghi vostri che si credono più intelligenti di voi perché nun se capisce quel che dicono e dicono sotto sotto - scusate, neh! - che il Saba è 'nu coglione, 'nu mona, come dite voi, a Trieste... e dicono che siete anche 'nu poco pedofilo, 'nzomma che vi piacciono i mamminielli . Ppe mmeve i gusti so' gusti e vanno rispettati, e poi o'ffacevano i greci e i romani. 'Nzomma, don Umbè , 'na cosa è certa. Su di voi si sbagliano, que' criticoni, e di grosso, ve lo dice uno che di uomini s'intende, i coglioni sono loro, voi siete un vero poeta perché esprimete una vera emozione umana... che è anche un'idea di pace, di liberazione dai bisogni, di progresso. Mi compiaccio con voi! Lasciate che vi stringa la mano.
Voi siete il vero poeta italiano, perché come ha detto un critico che ne sape assai assai più di me, voi siete un ritorno dello spirito, o meglio dell'anima, alla sua sacra semplicità ".
 
Saba diventò rosso come un peperone e dalla sua tristezza muta e insuperabile solitudine non seppe dire altro che grazie. Avrebbe voluto dirgli tante cose, che la vera eguaglianza e giustizia umana non è data dal benessere, né dal progresso, ma dalla coscienza di tutto il dolore "necessario", avrebbe voluto dirgli che lui stava sempre in crisi, era sempre travagliato, sull'orlo di una crisi di nervi perenne, era sempre sul filo del rasoio, aveva mille mali dentro e fuori, spesso era preda di una vera e propria disperazione... Ma poi pensò all'onore che gli faceva l'ammiraglio borbonico, pensò che era stato generoso, e gli fece un bel sorriso buono. Posso offrirle una birra, ammiraglio? disse. Il borbonico disse no, grazie, caro Saba, devo andare a trovare un mio collega austriaco, ma voglio dirvi ancora una volta che amo la vostra poesia proprio perchè è buona e generosa come la nostra terra del Sud, sapete io sono di origine pugliese e il canto pugliese è un canto semplice, nudo, sobrio, dedicato alle cose vere, alle cose che contano nella vita, agli affetti familiari, agli amici, al cielo, al mare, alla luna, agli uccelli dell'aria... Vi saluto , caro Saba e vi prego di ossequiarmi la vostra cara Linuccia e "li cardilli".
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