22 luglio 2006

Renato Marazza nel ricordo di Eros Barone

di Eros Barone (tratto dalla rubrica "Con rispetto parlando" de "La Prealpina" il giorno 31 giugno 2006)

I nostri incontri avvenivano quasi sempre in biblioteca: quella di Busto Arsizio, innanzitutto, ma anche quella di Varese e, più di una volta, la “Sormani” di Milano.
Vederlo in fila, mentre sfogliava uno dei libri che aveva richiesto in consultazione e attendeva il suo turno per attivare il prestito e portarseli a casa, mettendoli magari in uno di quei sacchetti di plastica che si usano per fare la spesa al supermercato, mi riempiva il cuore di quella allegria impaziente che pervade il cacciatore quando si avvicina alla preda, come se entrambi avessimo partecipato, provenendo da punti differenti ma nello stesso tempo, ad una caccia e ad un rito: quelle cacce rivolte alla conoscenza e al sapere che Giordano Bruno chiamava ‘venazioni’ e quei riti che, come osservano gli antropòlogi, convèrtono il tempo in un luogo. E davvero, ripensando a lui, che era un insegnante di religione e a quelle rivelate - non solo la cristiana, ma anche la musulmana e l’ebraica - univa la religione della lettura e la pratica di una ricerca assidua e inesauribile, in cui il piacere e il dovere, Epicuro e Kant, si fóndono in una sintesi perfetta, davvero, ripensando a lui, comprendo il significato noetico, etico ed estetico della passione che ci accomunava e ci rendeva, restando sempre al di qua della confidenza o della compiacenza, fratelli.
Renato Marazza aveva un fisico minuto e ben proporzionato, che riceveva una luce particolare dalla testa armoniosa, dai corti capelli grigi, dai vivi occhi neri e da un sorriso, non meno perplesso che comprensivo, che contribuiva ad illuminare il colorito olivastro del suo viso fenicio e trasmetteva a chi entrava in contatto con lui un senso di lucida intelligenza, di garbata ironia e di ferma attenzione. Le parole, figlie della sua anima appassionata e del suo chiaro intelletto, fluivano dalla sua bocca nitide come la pura acqua di una sorgente, anche se a volte erano come increspate dal brivido lieve di un soffio di vento.
Nella sua vita esteriormente ordinaria ma interiormente ricca di contenuto, alternava l’investigazione, che lo portava a ricercare nelle biblioteche più diverse i testi più diversi, alla contemplazione, che lo spingeva lontano, nelle comunità o nei monasteri, a vivere, insieme con i religiosi obbedienti ad una regola, l’esperienza della preghiera e della meditazione. Il Libro, che si trattasse della Bibbia, dei Vangeli, del Corano o della Thorà, così come di Platone, di Aristotele, di Marx o di Wittgenstein, era per lui quell’unica candela della ragione la cui fiamma non viene mai meno ed è in grado di accendere tutte le altre - centinaia, migliaia, milioni - allorché sono spente.
Amava l’Italia, di cui rivendicava, con amarezza contenuta e con intima fierezza, come un patrimonio prezioso da difendere e da valorizzare, la tradizione risorgimentale e resistenziale.
Un comune conoscente, che lavora alla biblioteca civica di Busto, mi ha riferito che, il giorno prima di morire, fedele sino all’ultimo alla religione della lettura e della ricerca, telefonò ad una sua allieva per pregarla di restituire i libri che egli aveva preso in prestito.
La sua scomparsa - mi sia permesso di affermare ciò - mi ha privato di uno dei non molti lettori (ma quale lettore!) che manifestassero una costante attenzione agli scritti che sono venuto pubblicando in questa rubrica. Forse, anche per tale ragione, il ritratto che ho cercato di abbozzare in questo articolo somiglia così tanto ad un autoritratto. E sarebbe una bella iniziativa, che segnalo all’assessore competente dell’amministrazione comunale di Busto Arsizio, quella di intitolare a questo straordinario lettore una sala della biblioteca che gli fu così cara, ornandola con una dedica che potrebbe suonare in questi termini: “A Renato Marazza, che in questa biblioteca visse l’avventura della conoscenza e della saggezza”.

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