25 giugno 2006

Il tema della laicità dello Stato

di Angelo Bruno Protasoni (tratto da La Prealpina del 23 novembre 2005)

Il tema della laicità dello Stato, e quello dei limiti d'intervento da parte del Vaticano e della gerarchia ecclesiastica, sono già stati ampiamente analizzati dal suo giornale.
Questo dibattito ha però in qualche modo trascurato le recenti parole di Benedetto XVI, "la Chiesa non intende rivendicare alcun privilegio ma adempiere alla propria missione nel rispetto della laicità dello Stato", che sono purtroppo passate quasi inosservate perchè sovrastate, e in qualche modo contraddette, da una serie di successive prese di posizione di ben altro tenore da parte di alcuni rappresentanti dei vescovi italiani.
Ed è un peccato perchè le parole del Papa sono invece importanti, pesanti e soprattutto impegnative.Noi pensiamo che, al di là di dichiarazioni strumentali dettate da contingenti (spesso miserabili) interessi di parte, sia oggi evidente a molti la necessità per lo Stato italiano e per la Chiesa Cattolica di porre mano, non appena possibile, ad un trattato concordatario che mostra ogni giorno di più i suoi limiti di fronte ad un panorama nazionale in questi anni profondamente mutato.
Se l'Italia non è evidentemente più quella del 1929, quando Mussolini e Gasparri firmarono i Patti Lateranensi, molto è anche cambiato rispetto alla revisione di quel trattato, ad opera di Craxi e Casaroli, nell'ormai lontano 1984.
Noi ci troviamo oggi di fronte a un paese, e a una Chiesa, molto diversi rispetto ad allora. E non si tratta solo di una naturale evoluzione dei costumi e della sensibilità dei cittadini, oggi indubbiamente più attenti a diritti individuali fino a ieri trascurati. Noi dobbiamo ora, soprattutto, fare i conti con una società che negli ultimi vent'anni è cambiata profondamente nella sua composizione etnica, culturale e religiosa. E nessuno può chiudere gli occhi di fronte a questa mutazione epocale che è evidente, che è irreversibile, che non ha precedenti in Italia nell'ultimo millennio.
Questa nuova situazione richiede quindi, anche nel rapporto fra Stato e Chiese, delle risposte diverse e coerenti con un paese che è oggi indubbiamente cambiato.
Senza anacronistici richiami a un anticlericalismo di stampo ottocentesco ma ponendo invece attenzione in modo costruttivo a un tema che è attuale, che deve essere affrontato con senso di responsabilità e che alcune forze politiche fingono di non vedere come urgente solo in funzione di un meschino e deplorevole uso della religione a fini elettorali.
L'applicazione rigorosa delle norme concordatarie attualmente in vigore pone alla stessa Chiesa, giova ricordarlo, dei limiti che sarebbe indubbiamente giusto rimuovere. L'autorità ecclesiastica ha infatti il pieno diritto di enunciare senza alcun vincolo i pareri e le indicazioni che ritiene necessari in difesa dei propri valori. Così come ciascun cittadino ha facoltà di esprimere liberamente il proprio giudizio in merito a queste esternazioni. E così come lo Stato Italiano ha il dovere di prendere delle decisioni che siano - laicamente - nell'interesse di tutti e quindi adottate senza alcun condizionamento dettato da una fede religiosa.
Per questi motivi appaiono stridenti, inattuali e limitativi della stessa libertà della Chiesa, i privilegi - non solo di carattere economico - di cui il Vaticano, la Chiesa cattolica e i suoi esponenti godono in virtù del Concordato.
L'insegnamento della religione nelle scuole effettuato da personale oggi messo in ruolo, scelto dalla curia (che ha anche potere di revoca) e pagato dallo Stato, è indubbiamente l'aspetto più evidente e più anacronistico di una situazione di ingiusto privilegio.E così è per i finanziamenti alla scuola privata confessionale a grave danno di quella pubblica e per l'8 per mille che - grazie a un perverso meccanismo interpretativo - determina il versamento alle chiese di cifre triplicate rispetto a quelle che sarebbero effettivamente dovute nel rispetto delle indicazioni del contribuente.
E, ancora, per la recente esenzione dall'ICI, sottratta ai comuni non solo per gli edifici di proprietà ecclesiastica destinati al culto ma anche per quelli, numerosi, in cui vengono svolte normali attività commerciali.
Questi sono, purtroppo, solo alcuni di una serie di oneri che gravano nel complesso, sui cittadini italiani, per una cifra di seimila miliardi di vecchie lire ogni anno: una somma che rappresenta il 12% di una Finanziaria. E non si tratta, naturalmente, solo di privilegi di carattere economico.
Noi pensiamo che anche la Chiesa, per quanto concerne l'esercizio in modo credibile del proprio magistero, abbia molto da perdere in questo stato di cose.
E crediamo che questa situazione leda i diritti e i doveri di una Repubblica che ha invece il compito di garantire tutti nello stesso modo, indipendentemente dall'eventuale fede religiosa di ciascuno.
Ma riteniamo anche che l'idea di mantenere inalterate le attuali norme concordatarie sia frutto di una visione miope e controproducente perché l'eventuale progressiva estensione ad altre confessioni religiose di questi privilegi, cosa che sarà comunque inevitabile in uno Stato di diritto, comporterà conflitti, oneri e difficoltà gestionali - oltre che politiche - che saranno devastanti.
Per questi motivi ci è sembrata strumentale e pretestuosa la levata di scudi nei confronti di quanti hanno realisticamente posto all'attenzione di tutti, in un modo che ci è sembrato pacato e responsabile, il problema connesso alla necessità di un superamento dell'attuale Concordato fra lo Stato Italiano e la Chiesa Cattolica.
Forze politiche che hanno così indicato la strada corretta per la piena libertà di espressione da parte delle autorità vaticane, pur con l'ovvia richiesta di rispetto - in materia di leggi e normative italiane - da parte di esponenti di uno Stato che è libero e sovrano ma che proprio per questo è comunque straniero rispetto alla nostra Repubblica.
E così per quanto riguarda gli interventi degli esponenti ecclesiastici italiani.
Senza paura dei loro giudizi su qualsiasi tema, quindi, ma anche senza un uso strumentale delle loro opinioni, che si ritiene debbano invece essere accolte come arricchimento del dibattito democratico. Libero poi ciascun esponente politico, così come ciascun cittadino, di poterle valutare e criticare, accettare o rifiutare, grazie alle leggi di una Repubblica che ha il dovere di garantire tutti nello stesso modo, senza alcun condizionamento confessionale.
Noi pensiamo che non vi sia alcuna forza politica, oggi in Italia, che auspichi il superamento del Concordato fra lo Stato e la Chiesa cattolica attraverso la prevaricazione del volere di una eventuale maggioranza contraria.
Su questo tema è stata fatta molta propaganda strumentale e indegna di un paese civile.
I mutamenti avverranno invece quando il paese, grazie a un dibattito sereno e costruttivo, avrà consapevolezza di questa necessità e quando questi valori diventeranno patrimonio comune.
Il nostro auspicio è che questo avvenga presto. E per questo impegniamo anche le nostre forze: perché che si possa arrivare all'affermazione, finalmente, di "quella certa idea dell'Italia" che per noi è basata, innanzitutto, sulla garanzia civile data dalla parità di doveri e diritti per tutti i cittadini.
Un principio irrinunciabile per una Repubblica che voglia dirsi laica e democratica.

Angelo Bruno Protasoni
Associazione Mazziniana Italiana

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