19 giugno 2006

I fatti di Cefalonia

19 ottobre 2005
La memoria che si fa storia di Augusto da San Buono

“Non dimenticate tutto ciò ch’è successo. No, non dimenticatelo; scolpite queste parole nel vostro cuore”. (Primo Levi )


In certi casi la storia è “senza memoria”. Sembra esserci una sorta di tacito accordo nel voler ignorare, rimuovere, o addirittura nel negare “certi fatti scellerati”, certi eventi criminosi, ma anche l’eroismo di tanti morti trucidati, ad esempio a Cefalonia. Ma se questa reticenza era in qualche modo comprensibile da parte della Germania, che doveva faticosamente risalire dalle nefandezze, dalle brutture, dai genocidi, dai miasmi, dagli orrori del nazismo, assai meno comprensibile è stata la “rimozione” italiana per ben cinquantotto anni. Il paradosso è – diceva Rochat - che non è la Storia, così come è avvenuta, ad alimentare la Memoria, ma la memoria, volutamente o inconsciamente distorta o silente, a "costruire" la Storia. Ed è proprio per questo “mondo senza memoria” – scrive Bruna De Paula, curatrice della mostra/museo allestita in occasione del 60° anniversario della tragedia di Cefalonia – che noi vogliamo “ricordare”. Ricordare senza rancori, né polemiche, affinché giunga dal passato un messaggio per un futuro di pace. ”Il sacrificio della Divisione Acqui” – dice Vanghèlis Sakkaàtos, salvò l’onore dell’Italia ed è preziosa eredità dell’umanità nella lotta per la Libertà, la Democrazia e la Fratellanza, ma va anche detto che Cefalonia è stato una sorta di contenitore-laboratorio della follìa e della crudeltà, insensata e bestiale della seconda guerra mondiale, come di ogni altra guerra, una sorta di emblema delle atrocità, così come lo furono i campi di sterminio nazista, tragico frutto di un odio programmato, e le bombe che hanno devastato le popolazioni di Hiroshima e Nagasaki.

Ricordare è un nostro preciso dovere, un obbligo, affinché questo mondo di oggi senza più memoria recuperi il senso tragico della propria storia più recente.
Oggi a 60 anni dalla fine della Seconda Guerra mondiale, non è possibile fare a meno di tornare con la memoria ferita al dramma, a quella tragedia dell’umanità in cui persero la vita milioni di persone, spesso persone che senza alcuna colpa sopportarono sofferenze disumane e vennero annientate nelle camere a gas e nei crematori: “Bisognerebbe fermarsi davanti a ogni lapide”, - disse Papa Giovanni Paolo II - pregare per ottenere, attraverso la loro intercessione, il dono della pace per il mondo. Continuo a pregare senza mai cessare, nella fiducia che, in ogni circostanza, alla fine vincerà il rispetto per la dignità della persona umana, per i diritti di ogni uomo ad una libera ricerca della verità, per l’osservanza delle norme della morale, per il compimento della giustizia e del diritto di ciascuno a condizioni di vita degne dell’uomo. Quelle vicende tenebrose devono essere per gli uomini di oggi una chiamata alla responsabilità nel costruire la nostra storia. Mai più in nessun angolo della terra si ripeta ciò che hanno provato uomini e donne che da sessant’anni piangiamo!”
Ho parlato con un sopravvissuto, un testimone di quelle tragiche giornate consumate a Cefalonia in cui venne compiuto un massacro che non ha riscontro, lo sterminio collettivo di migliaia di italiani, “l’unico caso nel mondo – scrive Paoletti - in cui sono stati eliminati dei soldati, dopo che si erano arresi”.

Quando il vento, soffiando dal passato, fa parlare gli alberi, a Frankàta , un villaggio dell’isola di Cefalonia, gli anziani dell’isola vanno a raccogliere le voci di quei morti , e si fanno il segno della croce, perché in ogni ulivo c’è la memoria e il sangue dei 461 soldati italiani trucidati dalla furia insensata e dalla barbarie dei nazisti, che li falciarono con le mitragliatrici e si divertirono a fare il tiro a segno contro quei pochi che – non colpiti a morte – si dimenavano e si contorcevano. In quel luogo sacro, ad Athena, alcuni cefalioti poterono vedere coi loro occhi – e mai più dimenticare – quelle scene raccapriccianti di terrore e sentire le urla strazianti di dolore che sarebbero rimaste impresse per sempre nella loro memoria.

E così per gli altri 306 furono trucidati sulla scarpata di Kuruklàta, o i 631 del I° battaglione del 17° fanteria che trovarono la morte verso Troianata, i 300 bruciati sulle rive di Farsa, o che formarono alte montagne di ossa umane, i 312 massacrati presso la Casetta Rossa di San Teodoro e i 36 ufficiali fucilati nel vallone di Santa Barbara. Alla fine furono quasi diecimila i caduti a Cefalonia, compresi quelli annegati in mare. Qui l’Associazione Italo-Greca di Cefalonia e Itaca “Mediterraneo” ha allestito una mostra-museo permanente, in cui si celebra il sacrificio di una “generazione sfortunata dei ragazzi italiani”, chiamata ad esprimere, nel peggio di un’Italia allo sbando e in fuga, il meglio di sé stessi, che coincise con il sacrificio della loro vita.
“Bisogna ricordare quella sublime ribellione della coscienza, che costituì l’inizio di un nuovo periodo storico per l’Italia”, ha detto Ciampi. Quel gesto offrì un esempio fertile, fecondò il seme della resistenza armata, che doveva cominciare come una nuova epopea per il riscatto del paese”.
Davanti al Mausoleo, che ricorda “una delle più grandi e barbare stragi della seconda guerra mondiale, rimasta impunita e dimenticata”, è stato commemorato l’eccidio, il sacrificio di soldati italiani, che ebbero il coraggio di dire “ NO”, di non cedere le armi, e che con quel gesto estremo posero le basi della riscoperta della Patria.
Vogliamo ricordare i toccanti versi di un umile fante della Acqui, Olinto G. Perosa, che prefigurano le Lettere dei condannati a morte della Resistenza. "Noi partivamo / verso Argostoli / incolonnati / sotto le corte canne / del mitra / un povero drappello / battuto / e decimato / Abbiamo perduto / guerre e speranze / e i nostri morti / sono lì / per terra / di quà e di là della strada / con gli occhi sbarrati / E il mare ... laggiù / in cui tanto avevamo sperato / ci guarda / indifferente / e muto!"
C’è anche - mi dice Sanseverino, uno dei sopravvissuti - la volontà di questi nostri martiri, questi angeli di Cefalonia, di voler risorgere in un mondo nuovo e pacificato in cui si possa porre fine alla follìa di tutte le guerre, un mondo unito nella solidarietà, nella giustizia e nella pace. E in questo senso, particolarmente significativo è stato l’atto dell’ambasciatore Spiegel della Repubblica Federale Tedesca, che ha deposto una corona sull’altare delle vittime, colmando una cesura che offendeva non solo gli italiani, ma tutti gli esseri umani in quanto tali, ricomponendo così una storia da sempre negata e trattata dai tedeschi non già come una colpa mostruosa da espiare, ma alla stregua di un peso odioso da eliminare, come se si trattasse di un enorme rifiuto da smaltire, lo “smaltimento di un crimine”, come ha scritto il giornalista tedesco Hans-Rudiger Minow.

E’ vero. Ci sono stati 58 anni di vergognoso silenzio, di seppellimento, di insabbiamento della verità e delle responsabilità, e non solo da parte del Governo tedesco; ma ora le parole dell’ambasciatore tedesco lasciano ben sperare per il futuro, sono un primo passo che gettano un ponte verso l’amicizia dei popoli italo-greco-germanico, che ci fa superare ogni rancore e odio del passato: “Non era facile – ha detto Spiegel - rappresentare il proprio governo nei luoghi in cui furono commessi dei crimini nel nome della Germania, crimini che significarono morte e dolore per migliaia di uomini. Mi commuove profondamente incontrare le stesse persone che vissero quei tremendi fatti e vi sopravvissero, che persero amici e parenti e che sopportano questo dolore da sessant’anni”.
Si chiede alla Germania qualcosa di più, di pagare un’adeguata riparazione per i miliardi di danni causati in Grecia, si chiede una espiazione morale e materiale, e anche ciò deve essere preso nella giusta considerazione e vagliato. Del resto anche da parte delle istituzioni italiane non risulta che abbiano provveduto a individuare, ringraziare, encomiare i cefaloniti che hanno offerto un aiuto umanitario ai combattenti italiani.
“I fatti di Cefalonia – scrive D’Agostino - non hanno bisogno di celebrazioni vuote e tronfie, aspettano ancora molta chiarezza, ma non dobbiamo avere paura di questa ingombrante memoria storica, forti della nostra consolidata democrazia, ispirata ai valori di pace, di libertà e di sicurezza, nel rispetto e nella tutela internazionale dei diritti umani.

Non dobbiamo dimenticare che i nostri tre paesi fanno parte della nuova comune Patria europea, nell’ambito del quale il concetto della democrazia greca, del diritto romano e dell’etica tedesca costituiscono il fondamentale pilastro per la costruzione del comune futuro”

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